Some of the stories that I'd like to print (cit. Ochs feat. Zuc)
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Quella volta che su Ratzinger gettammo alle ortiche lo scoop dell’anno

Era il colpo giornalistico dell’anno: altro che il rigore albiceleste di quel porteño di Montiel. Invece la palla del calcio di rigore è finita fuori e per di più non c’è anima viva che si sia accorta di niente. È una storia che, benché sotto gli occhi di tutti, non conosce praticamente nessuno: mi è tornata in mente dopo un quarto di secolo perché legata a Joseph Ratzinger. Al giorno lontano in cui venne a Livorno: quello lo racconterò a parte.

Lui, il custode dell’ortodossia cattolica, di fronte a una domanda esplicita risponde in modo altrettanto diretto – e a sorpresa – che no, non c’è nessun impedimento perché il prossimo papa sia nero e venga dall’Africa.

Ratzinger lo dice parlando con Luciano Donzella in una intervista al Tirreno pubblicata quasi 27 anni fa. Quando, tempo dopo, qualcosa del genere verrà pronunciato in interviste alla tv tedesca e alla grande stampa americana, le dichiarazioni faranno il giro del mondo: come se Kobe Bryant fosse tornato fra i vivi e avesse annunciato che giocherà nella Pielle.

Quel giorno a Livorno invece tutto scivola neanche fosse acqua su vetroresina. Il mancato scoop sta tutto nel titolo in prima pagina che, appena sotto l’aperturona, dice: «Ratzinger a Livorno: “Un Papa nero? Perché no». La traduzione dal giornalese sembra semplice: Ratzinger che spiega perché e percome non è possibile avere un Papa nero. Del resto, non è l’arcigno campione del conservatorismo? Figuriamoci: la parlata tedesca, il babbo poliziotto, l’età giusta per stare nei balilla del Fuhrer. Poteva scamparla?

Quell’intervista l’avevamo preparata con il mio collega e amico Luciano Donzella, anche lui in servizio in cronaca: il vescovo era monsignor Alberto Ablondi con cui avevo familiarità, c’era da convincere uno dei più potenti uomini della Chiesa a riservare una ventina di minuti a un colloquio con un giornale laico, c’era da sperare che si fidasse e  forse l’unica era avere qualcuno che ci potesse dare una mano. Insomma, ci volevamo provare. Proprio con il cardinalissimo che aveva in mano le chiavi di quel che la fede poteva essere e cosa no.

Poi il d-day l’ho visto dalla finestra perché costretto a dare forfait per una serie di sfortunati eventi, i contatti preparatori comunque aiutarono Luciano a ottenere un colloquio a tu per tu con il futuro Benedetto XVI e, soprattutto, ad avere da Ratzinger risposte interessanti. A tu per tu nel senso che il cardinale manda fuori dalla stanza del vescovado anche il suo segretario, si scusa «se non potrò dedicarle molto tempo» e poi i minuti da venti diventano quaranta «e senza che Ratzinger desse segno di impazienza». Nel suo libro Luciano raffigura bene quella «eleganza naturale, una cortesia fredda o se preferite una freddezza cortese» come a «sottolineare una forte riservatezza» (che «però, almeno in parte, parlando andò sciogliendosi»). E soprattutto «una grande disponibilità a rispondere a domande anche scomode senza svicolare», facendo perno su «una cultura elevatissima che non ostenta ma neanche cerca di nascondere».

«una grande disponibilità a rispondere a domande anche scomode senza svicolare»

Qualcosa di simile riferisce anche Alberto Flores d’Arcais nel dibattito pubblico che su “Dio esiste?” ebbe con Ratzinger: dal “prefetto di ferro” di Santa Romana Chiesa nessuno sconto ma anche nessuna remora a discutere.

Luciano fece un magnifico lavoro: l’atmosfera la racconterà in dettaglio nel suo libro “Incontri straordinari”. Non solo: la dichiarazione sul papa nero non è rimpiattata in coda ma è dritta sparata in risposta alla prima domanda. Con saggezza l’interrogativo posto al cardinale la prende da lontano e ricorda la capacità  della Chiesa di anticipare i grandi sommovimenti sociali (con il Concilio che precede il ’68, con il papa polacco che arriva prima dello scongelamento dell’Est Europa). Di più: nella pagina interna in cronaca nazionale l’intervista è titolata “Papa nero? Chissà”. Non c’è l’enfasi della svolta ma è già meglio… 

Cosa dice Ratzinger al cronista che gli chiede cosa c’è dietro l’angolo: “Un Papa extraeuropeo, magari addirittura un nero”?. “La Chiesa ha un suo proprio ritmo che dipende molto dal fatto che vive in diversi continenti e l’insieme dei ritmi di questi continenti non sempre è sincronizzato. Ma oggi la Chiesa è realmente universale, nel senso che abbiamo superato l’eurocentrismo. Le Chiese del Terzo Mondo ne fanno parte con tutti i diritti, e quindi è ben pensabile che il prossimo Papa possa venire da questa parte del mondo”. Poi la sottolineatura del fatto che lo Spirito soffia dove vuole e dunque non bisogna guardare a criteri politici o geopolitici. Ma l’apertura al Papa nero c’è, eccome se c’è.

“E’ quindi ben pensabile che il prossimo Papa possa venire dal Terzo Mondo”

Il titolo in prima pagina però se ne dimentica: un refuso, una svista? Sì, ma solo in piccola parte. Dietro quel mancato scoop ci sono gli ingranaggi di una logica di apparato, che talvolta sono ancora più invisibili degli stessi vincoli legati alle proprietà delle aziende editoriali e alle loro sensibilità politiche.

In realtà, quel titolo in prima pagina è sbagliato. Per via della suddivisione operativa nei compiti in redazione, non l’ha fatto chi ha scritto il pezzo e chi l’ha fatto si è lasciato prendere la mano. Da cosa? Da una doppia logica di funzionamento.

La prima: un titolo non può finire con un punto interrogativo. Chi avesse dimestichezza con i quotidiani di mezzo secolo fa sa bene che in ogni edizione campeggiavano almeno due-tre punti interrogativi un po’ a caso. Siccome con l’ondata del Sessantotto i giornali hanno smesso quei toni un po’ paludati del passato, ecco che all’afflusso di notizie che escono dai canoni dell’ufficialità l’apparato giornalistico reagisce con gli interrogativi. Se “Moro ha incontrato Rumor?” può avere ancora un qualche senso (non si sa effettivamente se c’è stato), talvolta si arriva a virtuosismi tipo “Tamponamento nella notte sull’autostrada?” (o c’è stato o no). Fino a un geniale: “La Spezia, notizie importanti?”. L’ho trovato come annuncio di una conferenza stampa della quale si diceva di ignorare anche l’argomento. Poi è arrivata la mannaia (sacrosanta): i lettori comprano il giornale perché tu verifichi quegli interrogativi e tu dia risposte a quelle domande. Dunque, punti interrogativi vietati.

La seconda: ma un punto interrogativo in quel titolo c’è. Sì, ma appartiene a una stagione giornalistica specifica. Mettiamo che, dopo un derby con i cugini pisani, il mister amaranto se ne salti fuori con un attacco brutale: «Il Pisa è solo chiacchiere e distintivo». Nel tempo si sono avuti: «Pisa, solo chiacchiere e distintivo». Poi: «Tizio al Pisa “Siete solo chiacchiere e distintivo”». Bene, negli anni ’90 sembrava utile fare così: «Il Pisa? Solo chiacchiere e distintivo». Il punto interrogativo serviva solo a mettere in evidenza l’argomento.

Dunque, il punto interrogativo finisce nel posto sbagliato e azzera la portata della novità. Colpa anche di qualcos’altro: del  “magazzino degli stereotipi”, avrebbe detto Giovanni Cesareo, uno studioso di notizie e comunicazione di massa che meriterebbe un monumento per il suo “Fa notizia” (Editori Riuniti). Se ti sei piallato in testa lo schemino di Ratzinger cerbero tradizionalista e non un raffinato teologo dall’intelligenza acuta: cosa vuoi che ti dica su un papa nero? Tradotto: non pubblichiamo cose sorprendenti e non ci interessano le spigolature inconsuete di persone a noi lontane, abbiamo le caselline in cui catalogare ciascuno che a dire il vero è già catalogato.

In quell’intervista a Ratzinger siamo nella primavera del ’96 a Livorno. Lui non gira intorno al pero, pur avvertendo che: 1) non è una questione all’ordine del giorno; 2) intanto «speriamo che il papa possa vivere ancora per molto tempo»; 3) dev’essere una scelta da leggere con gli occhi della fede e della Chiesa, prima che delle considerazioni geopolitiche.

C’è da aggiungere che Ratzinger stava parlando del successore di Wojtyla: non lo sapeva ma sarebbe stato lui stesso. In effetti, papa Wojtyla guiderà la Santa Sede per altri nove anni ma già in quel ’96 il papa polacco aveva già iniziato la seconda metà del proprio pontificato nel segno della malattia: quanto nella prima anche il fisico prestante l’aveva aiutato nella lotta contro l’Orso Sovietico tanto adesso cominciavano a prendere corpo quei problemi di salute che, complici anche le pistolettate di Alì Agca in piazza San Pietro, lo porteranno a un’interminabile agonia sotto gli occhi del mondo. Dopo un tumore benigno al colon, dopo un infortunio a una spalla, dopo la frattura del femore, dopo la protesi all’anca per tornare a camminare, dopo un malore durante la benedizione natalizia, dopo un attacco di appendicite acuta. E dopo che già all’inizio degli anni novanta si erano manifestati i primi sintomi del Parkinson.

Con l’uno (Wojtyla) e con l’altro (Ratzinger) abbiamo imparato che una parte del messaggio sulla condizione umana sta, prima ancora che nelle parole, nella fragilità: soprattutto della condizione anziana. E nel bisogno di tenere le antenne dritte: non c’è stato papa che abbia rivoluzionato di più la tradizione del tradizionalista Ratzinger che dette le dimissioni.

11 Comments

  1. Luciano De Nigris ha detto:

    Ho letto con grande interesse, come sempre, per le cose tu scrivi. Luciano

  2. Bea ha detto:

    Molto interessante!

  3. Nereo Paolo Marcucci ha detto:

    Una narrazione fluida nonostante sia enciclopedica prodotta da uno scrittore che si dice giornalista ma nella realtà è un divulgatore che santa madre Chiesa dovrebbe ringraziare

    1. Mauro Zucchelli ha detto:

      Primi passettini, sto solo imparando a camminare.

  4. Seriacopi Claudio Massimo ha detto:

    Bravo Mauro

  5. Gianni Giannone ha detto:

    Complimenti Mauro del bellissimo ricordo di una intervista eccezionale di Luciano

  6. riccardo pasquinelli ha detto:

    Eccoti qui! Sei già stanco della pensione

    1. Mauro Zucchelli ha detto:

      Per ora la pensione la stiamo aspettando: sono nel limbo, praticamente benestante o nullafacente. Incrocio le dita.

      1. Riccardo Pasquinelli ha detto:

        Moltissimi pensionati sono nullafacenti

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