di Mauro Zucchelli
C’era anche un pezzetto di casa nostra laggiù al binario 21 sotto la stazione ferroviaria di Milano da dove Liliana Segre e Fabio Fazio hanno commemorato l’anniversario della liberazione dei prigionieri rinchiusi nel lager nazista di Auschwitz. Prima di allacciare le cinture, vale la pena di spendere un breve inciso per ricordare che non avvenne per mano degli americani (come sembra accreditare perfino un gran film come “La vita è bella” di Roberto Benigni) bensì ad opera delle armate sovietiche agli ordini di Stalin: non dimentichiamolo neanche adesso che Putin si è reso protagonista della aggressione all’Ucraina.
Come nella migliore tradizione ebraica che fa così tanta attenzione alla memoria del nome e cognome, quel pezzetto è semplicemente un nome e cognome: quello di Flora Modiano, una bambina che il certificato di nascita indica come nata a Livorno e quello di residenza come abitante al Gabbro. Da Auschwitz non tornerà così come ben torneranno i suoi genitori. Parte lei così come partono i genitori da quel binario 21 di Milano Centrale il 30 gennaio ’44: Flora ha 5 anni e Liliana Segre ne ha 13, le hanno stipate come fossero bestie sul convoglio n. 6 che arriverà ad Auschwitz sette giorni più tardi, dopo aver dato inizialmente l’illusione di dirigersi verso sud, come rievocato in tv dalla senatrice.
A bordo di quello stesso treno sul quale viaggiano Liliana Segre, la ragazzina milanese divenuta oggi il simbolo vivente della memoria dell’Olocausto, ci sono quasi tutti gli ebrei arrestati al Gabbro poco prima del Natale precedente, il 20 dicembre ’43: quei 17 finiti in trappola vengono instradati verso il lager nazista con il convoglio n.6 del 30 gennaio ’44, uniche eccezioni Franca Baruch e Camelia Nahoum (quest’ultimo è anche il casato del grande filosofo Edgar Morin, uno dei più lucidi pensatori europei della complessità contemporanea, che ha sempre insistito sull’amore per le antiche origini livornesi della sua famiglia). Secondo l’ “anagrafe della Shoah” messa a punto dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, di quei 17 ebrei livornesi deportati non è tornato vivo nessuno se non Isacco Bayona, scomparso non molti anni fa.
Nel piccolo schermo tv il nome e il cognome di Flora Modiano figurano fra i sei presi come simboli dei sei milioni di ebrei assassinati dalla ferocia della “soluzione finale” con cui i nazisti si erano prefissi di estirpare gli ebrei dalla faccia del pianeta. Per quanto raccapricciante possa essere, non pensate ai nazisti come a una combriccola di invasati rinchiusi nel delirio della loro ideologia: magari immaginando che nelle loro menti malate pensassero di fare la cosa giusta. No, lo sapevano benissimo di essere crudeli – ma proprio straordinariamente crudeli – e di compiere il Male assoluto, quel Male al quale tanto il Novecento quanto il secolo attuale ci abitueranno con la cancellazione sistematica di etnie, popoli e categorie. O è così o non si spiegano tutte le energie profuse dallo stato maggiore hitleriano nel nascondere agli occhi del mondo quel che stavano facendo: secretate e sotto codice tutte le decisioni politiche e le pratiche amministrative; idem per quanto riguarda la dislocazione delle strutture di sterminio; lo stesso dicasi per la decisione di cercare di distruggerne le tracce quando ormai l’avanzata delle forze occidentali e sovietiche è inesorabile. Guai a dimenticare la “marcia della morte”: un esercito di migliaia di deportati denutriti costretti a marciare fino allo sfinimento (e morendo dunque un po’ per volta lungo i quasi 700 chilometri di strada), pur di evitare che a guerra finita si scoprissero enormi fosse comuni.
Di Primo Levi si ricordano i versi di “Se questo è un uomo” (ma troppo spesso amputandoli dell’invettiva finale contro chi ha la tentazione di dimenticare). Bisognerebbe ricordare meglio anche la denuncia di quanto le vittime si sentissero deridere dai nazisti: non vi crederanno, dicevano gli aguzzini nell’ultima beffa. Lo raccontano tanti: neanche le persone più vicine credevano ai racconti dei sopravvissuti. Un abisso che riguarda soprattutto gli ebrei ma anche omosessuali, comunisti e oppositori politici, rom e disabili.
Proprio da questi ultimi era iniziato tutto: consiglio vivamente “Ausmerzen” di Marco Paolini. Una lettura che sbatacchia le coscienze: scopriamo che l’eugenetica nazista aveva radici più lontane dei deliri di “Mein Kampf”, aveva qualche richiamo anche in Occidente e nella scienza dotata delle migliori intenzioni…
Ma torniamo a Flora Modiano. È un simbolo ci appartiene: siamo noi livornesi al fianco delle famiglie ebree catturate ma siamo noi anche del maresciallo fascistissimo del piccolo borgo fuori Livorno che, come ricostruisce Rinaldo Battaglia in osservatoriosullalegalita.org, al comando dei suoi carabinieri all’alba di quel lunedì circondarono una cascina fuori dal centro abitato. «L’obiettivo della retata erano tre famiglie di ebrei recentemente ‘sfollate’ da Livorno e da poco lì arrivate: le famiglie Bayona, Baruch e Modiano». Battaglia spiega con le parole di Isacco Bayona che le tre famiglie si erano adattate a vivere in ristrettezze: «Era una stalla, s’è preso nella macchia dei legni, s’è fatto dei letti, insomma ci si arrangiava a quella maniera lì».
Ecco come Bayona ha rievocato quel blitz: «Era ’na domenica, ci siamo trovati con degli amici del Gabbro e s’è fatta ’na festicciola. Ero giovane, s’andava a ballà. Il lunedì mattina, erano le cinque, hanno circondato tutto questo casolare coi mitra spaniati. C’hanno preso gli uomini soli, le donne le hanno lasciate sta’ […]. C’hanno portato alla caserma dei carabinieri del Gabbro, c’hanno tenuto due giorni lì, poi il maresciallo ha dato l’ordine di andare a caricare anche le donne, le bimbe, tutte quelle che c’erano lassù al capannino, dove eravamo sfollati».
Il rastrellamento del Gabbro è da sempre per nulla conosciuto, perché «qui vi è la totale assenza dei tedeschi», ribadisce Battaglia: «Qui la coscienza degli italiani non può esser purificata scaricando le colpe sui nazisti e sulla scuola di Hitler. No, qui la colpa è degli italiani e della scuola fascista del Duce, quello delle leggi sulla razza».
Potremmo finirla qui e tuttavia la storia dei bambini del Gabbro deportati e assassinati richiama alla memoria anche un altro episodio che non può lasciarci in pace. Quello di Gigliola Finzi, che il Comune di Livorno ha ricordato in tandem con la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Ebraica il 27 gennaio 2021 con una “pietra d’inciampo” in via Verdi.
Al civico 25 di quella strada nel cuore del centro di Livorno c’era la sua casa: ma “sua” solo simbolicamente. In realtà, a parte i primissimi giorni nell’ospedale di Roccastrada nella sua minuscola vita non ha conosciuto altro se non il campo di internamento in Maremma, a Roccatederighi, nello stesso fabbricato del seminario, poi il campo di concentramento di Fossoli, quindi il lager di Auschwitz. Ma per aggiungere orrore a orrore, è necessario riprendere le parole di Frida Misul, figura simbolo dell’ebraismo labronico: la neonata che frigna dà sui nervi a un soldato e in quell’uragano di odio – senza un ordine superiore al quale aggrapparsi, senza un pericolo di sovversione, senza niente – un militare strappa la piccolina alle braccia della mamma e la ammazza con un semplice gesto, scosciandola. La strappa in due metà. Padre e nonno si ribellano e vengono ammazzati all’istante, la mamma sviene e resta un cadavere in vita solo per pochi altri giorni: di tutta la famiglia non tornerà nessuno.
Dedicato a quell’Europa che è la culla della civiltà occidentale: ma è stato anche il luogo dove “tutto questo è stato”, ed è il luogo dove tutto questo rischia di tornare. E non sto parlando delle minacce di Putin ma di quel che coltiviamo al nostro interno: i neonazisti sono un partito vivo e vegeto in Germania, hanno messo radici in varie realtà della Scandinavia e in Svezia condizionano il governo, senza contare quel che sta accadendo nella metà di continente che qui da noi si affaccia sul Mediterraneo. Dal Bosforo a Gibilterra.
Che dire, il tuo racconto mi emoziona e inorridisce quasi quanto quello della segre ieri sera.
Grazie Mauro è sempre
un piacere leggerti, anche quando le notizie so tremendamente tristi. Poi fai sempre riflettere seriamente su cose che avvolte si fanno per scontate.grazie ancora
Grazie per questi ricord.
La memoria va “coltivata” ogni giorno perché queste tragedie non accadano più. Purtroppo, visti anche i recenti avvenimenti, è sempre più difficile essere ottimisti.
Grazie Mauro, una pagina di storia che non conoscevo e che dimostra quanto in realtà la crudeltà umana sia stata così vicina alle nostre storie e alle nostre comunità.
Ottimo Mauro !
Grazie Mauro, ho riguardato anche oggi di nuovo quel racconto quella testimonianza della Segre, mia mamma, Coen si salvò miracolosamente e ho pensato anche a quella bambina nata nella nostra Livorno, tante bambine tanti bambini non ci resta che il silenzio e il dovere della memoria insegnando a chi dopo di noi, che il peggiore peccato e’ l’indifferenza, il nostro motto su ogni ingiustizia e ogni orrore deve essere … mi sta a cuore
Grazie, Giovanni
Mauro hai narrato con semplicità e peraltro con estrema puntualità la deportazione degli Ebrei dal Gabbro, una pagina molto tragica, a molti sconosciuta…. hai la capacità di uno scrittore con gli occhi di un cronista che conosce la storia…
Bravissimo, ma questo Te l’ho già detto di persona….al prossimo racconto, a presto
A presto, con amicizia
Caro Mauro, non conoscevo i gravi e struggenti eventi che riguardano il Gabbro e ne rimango inorridito, anche per l’ignobile protagonismo del Cabiniere,una macchia credo rara della nostra Arma benemerita. Grazie, buona domenica, Gianfranco Porra’
Se per scrivere così ci voleva la pensione, dovevi andarci prima !!! Ma io lo sapevo già. Un grandissimo abbraccio.
Piacevole e scorrevole alla lettura, il tuo articolo è opera di un Cronachista autentico che documenta con la mimesi del parlato, i riferimenti storici, ma sa anche risvegliare sentimenti autentici. Grazie, Mauro
Ma come, noi italiani non siamo stati brava gente?!? Ma cosa ci dici (pardon: scrivi) mai?
Mauro, continua a scrivere che tanto, ultimamente, cantieri stradali a disposizione di noi pensionati ce ne sono pochi.
Un racconto commovente.Non conoscevo l’episodio e mi ha fatto riflettere sulle responsabilità che anche i fascisti ebbero nella persecuzione degli ebrei e dei tanti che fecero finta di non vedere.Bravo come sempre.
Italiani brava gente? Qualcuno sì, forse tanti. Ma tanti altri sono stati aguzzini. Una guerra civile, non solo di liberazione dallo straniero: e c’era chi, pur con tutta la pietas che gli dobbiamo da morto, stava dalla parte sbagliata