di Mauro Zucchelli
La memoria “depistata”: dietro il rapimento e l’assassinio del piccolo Ermanno non ci sono i segreti sessuali di provincia bensì i primordi della strategia della tensione e della stagione delle bombe di Stato
C’è una bugia che salta fuori ogni volta: che chiunque possa ricordarsi dov’era o cosa stava facendo quando è morto Jfk, quando hanno buttato giù le Torri Gemelle, quando ha tremato la terra in Irpinia. Non se lo rammenta nessuno ma pare una salsina da mettere in tavola per salvare il nulla. Però ha ragione Ligabue che in una canzone del 2010 canta che «hanno ucciso Lavorini / e dopo niente è stato come prima».
Io non ho fatto il rocker e nemmeno vengo dalla Correggio della “saponificatrice”, non sono stato consigliere comunale Pci come il Liga e neanche è Pier Vittorio Tondelli il mio vicino di casa. Ma siamo tutti e due ex ragazzi del ’60 e Ermanno Lavorini è un ragazzino rapito e ammazzato a Viareggio in un venerdì di fine gennaio di 54 anni fa. In quel ’69 tanto io come il tipo di “Certe notti” eravamo in terza elementare, Ermanno Lavorini era in seconda media (alle scuole Motto a un passo dal lungomare del Carnevale più famoso del mondo). E ragazzi erano anche i giornalisti che se ne sono occupati: era in vista dall’esame di terza media Walter Veltroni, facevano le elementari due cronisti del Tirreno come Roberto Bernabò e Corrado Benzio, non aveva ancora finito il liceo Sandro Provvisionato. Tutti hanno dedicato pagine importanti a quel bambino con la maglietta, lo sguardo un po’ sgrunt e la voglia di andarsene a giro con la bici rossa Super Aquila che qualunque reporter insiste a definire «fiammante». L’unico un po’ fuori sagoma era Marco Nozza, inviato del Giorno: aveva l’età dei nostri genitori.
Riassunto delle puntate precedenti: Ermanno Lavorini sparisce un oggi 31 gennaio, ma del ’69. Lo ritroveranno sepolto nella sabbia a Marina di Vecchiano. Otto chilometri in direzione sud dal negozio di famiglia, settore biancheria, che fa dei Lavorini una famiglia che può contare su una certa tranquillità economica: difficile però considerarli ultraricchi da spennare con la richiesta di un riscatto-monstre. In effetti, la richiesta che arriva via telefono è di 15 milioni di vecchie lire. Diversamente da quanto si sente talvolta raccontare, non è affatto una cifra faraonica: equivale a 143mila euro di oggi. Negli anni ’70-80 si ripeteranno le richieste al di sopra del miliardo di lire. Il telefonista, si scoprirà poi dall’autopsia del ragazzino, chiama la famiglia Lavorini quando ormai il piccolo è morto.
Tutto questo questo accade proprio in quella Viareggio dove poche settimane prima i “capelloni” sono arrivati a imbrattare la festa di San Silvestro della buona borghesia toscana in fila davanti all’ingresso della Bussola. Volano uova, spintoni, urla e cariche. Ma anche un colpo di pistola – diciamo quantomeno uno – che centra lo studente Soriano Ceccanti e lo sbatte per tutta la vita su una carrozzina. Già questo potrebbe dirci che è finita l’età dell’innocenza, ma tanto Soriano che i contestatori e parecchi dei “celerini” hanno casomai l’età dei nostri fratelli maggiori, ma parecchio maggiori. Insomma, era roba vicina geograficamente ma altrui: bastava starsene al riparo, non ci avrebbe colpito.
Ermanno è un po’ Alfredino, quello finito giù nel pozzo: anche lui avrà la sua bella canzone (dei Baustelle: da ascoltare) e perfino la serie tv su Sky. Ermanno è il figlio di tutti, per noi ex ragazzi uno di noi. Il cuginetto che ne sa una più del diavolo, l’amico che vuol sempre giocare. Il ragazzo della via Paal: perché comunque e ovunque l’abbia ribattezzata il sindaco – vale come per la via Gluck di Celentano – c’è sempre stata una via Paal, che tu l’abbia vissuta come Nemecsek o come Boka. Almeno per noi ex ragazzi del ’60: a Colline avevamo l’oratorio salesiano, solo maschi e pallone, o le eventuali baruffe con la fionda con i ragazzini delle baracche degli sfollati, ancora lì fino agli anni ’70. Ermanno segna il fatto che ti può capitare qualcosa: e quel qualcosa non arriva dalla minaccia di un bullo (bisognava cavarsela e stop) bensì dal misterioso mondo degli adulti. Quello che avrebbe potuto ingannarti con caramelle offerte da sconosciuti, per noi più pericolose della nitroglicerina o del napalm. Insomma, non era una roba altrui: ruzzolava fino all’uscio della cameretta.
Occhio, però, che qui non parliamo del fascino vintage del com’eravamo: la questione ci porta dritti dritti verso il ricordo che si stratifica in memoria e, magari se collettiva, in immaginario. Già, perché la morte di Ermanno Lavorini – al quale ormai nessuno dedica più nemmeno il minimo sindacale di rievocazione che si ha negli anniversari comandati (unica eccezione il docufilm “Viareggio 1969” scritto da Giovanni Filippetto, Maura Nuccetelli, Leonardo Araneo per la regia di Claudio Pisano che trovate su Rai Play) – è una di quelle storie in cui tornare indietro nel tempo ci fa brutti scherzi. Il ricordo come ricostruzione mentale è un problema con cui ha a che fare quotidianamente chi lavora nella trincea delle indagini: anche in buona fede posso finire per ricordarmi quel che mi voglio ricordare e soprattutto convincermi che è reale quel che è solo immaginato a posteriori.
Nel caso del povero Ermanno però è difficile parlare di buona fede: è qualcosa che da lontano – quei brandelli di ricordo che affiorano a distanza di oltre mezzo secolo – annusiamo come una vicenda marchiata dagli ambienti della “pineta”, un crocevia di pedofili, playboy costretti a nascondere la propria omosessualità, prostituzione minorile e via elencando. Non l’avete catalogato anche voi così in un angolino del trapassato remoto? Eppure così non è, e non è soltanto un sospetto: lo dice la giustizia, dopo aver svolto tutte le indagini e tutti i gradi di giudizio possibili.
Il caso Lavorini porta ad altro. L’aveva confusamente intuito il padre di Ermanno, che risulta sia scomparso per sempre con il suo dolore insieme alla moglie all’inizio di questo nuovo secolo. «Me lo restituiranno dopo Carnevale»: lo ripeteva babbo Lavorini aggrappandosi a una speranza che era anche una interpretazione di quel che stava accadendo. Tradotto: così come la contestazione sessantottina aveva fatto naufragare il veglione alla Bussola, ora avrebbe messo veleno alla sarabanda del Carnevale etichettandola come divertimento borghese, sberleffo alla condizione operaia. Poi la commedia sarebbe finita e Ermanno sarebbe tornato. Come dire: macché “pineta” e “vizietto” (il più innocente degli eufemismi che i giornali usarono all’epoca), dietro il rapimento c’è la politica. In occasione del cinquantenario del rapimento di Ermanno, ce lo ha ricordato nel suo ultimo articolo sul Tirreno il mio collega Corrado Benzio, prematuramente scomparso.
Corrado non aveva aspettato quel giorno: insieme a Roberto Bernabò – che quella storia conosceva a menadito per esser stato del Tirreno prima cronista, poi capocronista a Viareggio, infine direttore – l’avevano già ricostruita trent’anni prima, con un libro edito da Reverdito: “L’infanzia delle stragi”. Ecco, questo titolo dovrebbe portarci sulla pista giusta: non bisognava guardare all’estrema sinistra, come aveva fatto il povero padre di Ermanno. Al contrario, era il capolinea opposto degli schieramenti politici che occorreva mettere sotto la lente. Fra fascisti e dintorni.
Prima ancora di Bernabò e Benzio, quando cioè erano ancora ragazzini quanto Ermanno, ci aveva pensato un tipo sveglio come Marco Nozza, inviato del “Giorno”, a notare una cosa sotto gli occhi di tutti: il simbolo monarchico all’occhiello della giacchetta di Marco Baldisseri, il sedicenne finito al centro del tritacarne poliziesco ma in grado di buggerare gli investigatori a suon di versioni cambiate un giorno dopo l’altro. Nozza racconta che Baldisseri va su tutte le furie quando lui chiede cos’è. Come mai?
Salta fuori che Baldisseri è cassiere di un fronte monarchico locale ma con “benedizioni” politiche nelle alte sfere. Di quello strampalato club il capo è Pietrino Vangioni, che fin dall’inizio si fa avanti con le forze dell’ordine sussurrando rivelazioni sui segreti inconfessabili sugli orientamenti sessuali di questo e di quello.
A questo punto chiunque sia in grado di intendere e di volere è preso da un dubbio: ma possibile che un sedicenne, seppur bugiardo seriale, e un furbetto di paese tengano in scacco le migliori menti investigative che abbia l’Italia? Sì, se quel che sussurrano è quel che gli investigatori (e la piazza) vogliono sentirsi dire. Non è un segreto che da Livorno si precipiti a prendere il comando delle operazioni un alto ufficiale dei carabinieri che era stato uno dei più stretti collaboratori del generale Giovanni De Lorenzo, ex capo dei servizi segreti e poi dell’Arma, finito nei guai per un tentativo di golpe che aveva fatto “tintinnare le manette” per mettere a cuccia i socialisti nell’alleanza di centrosinistra con la Dc.
Non è l’unico che si fa vedere da quelle parti nella Viareggio in fiamme per il doppio colpo mortale all’ “industria del relax”, prima con i gravi disordini di fine anno e poi con il primo rapimento di un bambino. Soffia sul fuoco anche il principe Borghese: è in quegli stessi mesi che si mette alla guida della progettazione del “golpe dell’Immacolata”, scattato poi nel dicembre dell’anno successivo (e misteriosamente rientrato dopo che i reparti insorti avevano già espugnato l’armeria del ministero dell’interno).
La verità accertata in sede processuale, dopo aver scoperchiato gli altarini sessuali di mezza Viareggio, è un’altra: il ragazzino viene rapito per ottenere i milioni in grado di far partire l’attività eversiva del fronte monarchico. Il caso Lavorini è il primo round, ancora un po’ dilettantesco, di quella che conosceremo come “strategia della tensione”: la stagione delle stragi più o meno di Stato che servono per diffondere terrore e spingere la maggioranza silenziosa ad accettare, anzi a sollecitare, una svolta autoritaria che stabilizzi il Paese e faccia finire paura e minacce. Ne riparleremo presto.
Una ricostruzione analitica da par tuo. Grande Mauro
Grazie Furio. Detto da un nerista doc, vale doppio
Bravo Mauro, il tuo racconto sul caso Lavorini dimostra una volta di più che la storia non va mai smessa di leggere e di raccontare … altrimenti si rischia di essere condannati a riviverla!
Grazie ancora una volta!
p.s.
Per altro davvero molto bello e benfatto il docufilm su Lavorini su Rai Play di Claudio Pisano…merita davvero!!!
Complimenti.Mi ha riportato alla mente anche come la vicenda interesso’ la vita dei Partiti per le accuse di cui furono oggetto alcuni dirigenti e amministratori che vennero maciullati dalle calunnie. Bravo
Grazie Mauro. Piacere di rileggerti e piacere di rileggere una storia che, confesso, per me era ancora persa nelle nebbie perverse della “pineta”.
Grazie Silvia. E’ così per tutti: è rimasta una memoria sbagliata, in realtà sto cercando gli elementi perché la politica non c’entra solo per via di quei ragazzotti del fronte monarchico.
Certamente interessante. Un profilo cui non avevo mai pensato. Complimenti.
Grazie Marco, sto cercando elementi per una storia bis che su Lavorini riguardò un depistaggio politico che travolse dei dirigenti socialisti del tutto incolpevoli. Meglio: colpevoli di essere socialisti
Bene
A presto
Come sempre sei un Grande giornalista e fa sempre piacere leggerti!
Qui non c’è il proto a dirmi di non fare tardi…
Mauro come sempre sei un Grande giornalista e fa sempre piacere leggerti!
Bravo Mauro, un po’ di luce e verità su brutta pagina dimenticata
Sto cercando di andare un po’ più avanti, è una storia che merita di smetterla con l’idea dei “capovolti” come le chiamavano in questura e leggerla come una enorme operazione politica sulla pelle di un bambino. A presto
Scopri verità inconfessate e taciute, di nuovo complimenti! Anche a distanza di anni il velo dell’ipocrisia sembra indossato come un pesante mantello…
Grande Mauro e storico amico… scrivi che è poesia roba degna di libri … ho letto tutto questo pezzo che mi riporta con la memoria alla storia di un vissuto tragico come fu quello di alfredino
Rampli che anche te Citi… un vissuto che vivemmo con il cuore in gola