Some of the stories that I'd like to print (cit. Ochs feat. Zuc)
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Uno strano pirata livornese, un tesoro nascosto e l’isola più sperduta del mondo (ancora oggi)
Una incredibile storia che mixa Robinson Crusoe, “L’isola del tesoro”, i pirati dei Caraibi, Napoleone e le avventura dark di Conrad: ma il protagonista non è il personaggio di un romanzo bensì un livornese in carne, ossa e scaltrezza

di Mauro Zucchelli

L’avessimo paragonato a Robinson Crusoe avrebbe respinto sdegnato al mittente il messaggio in bottiglia. Figuriamoci, l’eroe-avventuriero di Daniel Defoe se l’era cavata con un’isola dell’Oceano Pacifico sì, ma nemmeno tanto microscopica: un arcipelago che vale la metà dell’Elba, e lontano dalle coste del Cile grossomodo la metà di quanto distano le Azzorre dal Portogallo. La metà delle miglia percorse dallo scalcagnato caicco “Summer Love” di quei poveracci morti davanti alle coste di Crotone: affogati perché ormai il soccorso in mare è quasi un reato, talvolta senza il quasi. Assai peggio che magheggiare il bilancio o buggerare il fisco, diciamocelo ora che non ci vergogniamo più di essere cattivisti (solo con i dannati del pianeta).

Comunque era un naufrago anche lui, ma qui la sceneggiatura era andata giù pesante e l’aveva sbattuto davvero in mezzo all’Oceano: Atlantico, in questo caso. A Tristan da Cunha, un isolotto a metà strada fra Africa e America Latina: più di 2.800 chilometri dal Sudafrica, quasi 2.400 dalle coste latinoamericane dell’Argentina. E a 2.172 chilometri dal più vicino qualcosa di abitato: l’isola di Sant’Elena, anch’essa in mezzo alle onde. Ancora oggi rivendica con orgoglio di essere il più sperduto angolo esistente sul mappamondo. Come ricordano dal quartier generale del Touring Club, «non esiste alcun aeroporto e si arriva solo via nave dal Sudafrica in 6 giorni di viaggio, quando le condizioni di mari e venti lo permettono».

Il nostro “Robinson più di Robinson” si chiamava Tommaso Corri: era nato a Livorno nell’ultimo spicchio del Settecento, quando la sua città era finita nelle mani delle truppe napoleoniche. È un dettaglio di contesto che vi tornerà utile tenere a mente, e non solo perché nel frattempo era sbarcato all’ombra dei Quattro Mori anche Napoleone in persona e i francesi se l’erano presa a morte con il monumento-simbolo della città: avrebbero voluto liberarli, quei pirati moreschi incatenati ai piedi del granduca.

Questa storia del buon Tommaso l’ho scoperta grazie al racconto che ne ha fatto sul Tirreno Rino Bucci prima di cambiar vita e diventare dirigente scolastico. Nell’era in cui pensiamo che Google Earth abbia mappato ogni angolo del mappamondo, rimbalza nelle diverse narrazioni un po’ Conrad un po’ Melville, parecchio Salgari e ancor più Stevenson: ad esempio, nel libro di Annamaria Lilla Mariotti dedicato alla “Storia e vicissitudini della più remota comunità umana” (è anche nel catalogo della biblioteca comunale di Pisa, zona San Michele degli Scalzi). Ma è anche un post sul canale Youtube di Geopop, un servizio sulla rivista web di Bnp-Paribas, perfino un reportage tv di “Geo” anni ’90 che racconta l’esperienza umana di Anna Lajolo e Guido Lombardi (presentato come docufilm al festival di Torino nel ’93).

Tristan da Cunha si chiama per una ragione semplice semplice: l’ha scoperta il navigatore-esploratore portoghese a cavallo fra Quattrocento e Cinquecento, che poi sarà ambasciatore lusitano alla corte del papa. È in mezzo al nulla ma  Non è l’unico scoglio di questo tipo da quelle parti: nel bel mezzo dell’oceano c’è l’isola Bouvet (con bandiera norvegese), proseguendo verso ovest prima della Terra del Fuoco c’è l’ennesima Georgia di qualcosa, e tirando in direzione nord invece ci si imbatte nell’isola di Sant’Elena.

Tommaso doveva essere un tipino che non stava lì a guardarla tanto per il sottile: non c’era né l’Interpol né la carta d’identità ma aveva pensato bene di mescolare un po’ le carte facendosi chiamare anche all’inglese Curry e talvolta Currey. Del resto, faceva il pirata, mica il curato di campagna. Non sorprende neanche il mestiere: Livorno era il quartier generale della lotta contro i pirati barbareschi, la si faceva facendo del porto di Livorno il campo-base della contro-pirateria cristiana. Insomma, corsari con tanto di legittimazione granducale: non tanto una forza di polizia quanto una flotta di pirati terribili e crudeli quanto gli altri ma per incarico dei governi. Chissà quante ne aveva combinate per arrivare nell’isolotto di Tristan de Cunha, fuori da tutto. Naufrago, I suppose.

Il Nostro aveva un babbo locandiere, racconta Bucci: chissà se è stato il fascino delle fantastiche avventure ascoltate dai viaggiatori o se ci ha messo lo zampino l’idea di svignarsela da qualche guaio, fatto sta che «prese il mare in cerca d’avventura e la trovò: per quattro anni fu l’enigmatico signore di Tristan da Cunha». Quando? Agli inizi dell’Ottocento. Arrivò lì a bordo del brigantino “Baltic”: partenza dalle coste brasiliane, destinazione Scozia. Lo seminano nel bel mezzo dell’Atlantico praticamente all’indomani del Natale 1810: con lui finisce sull’isolotto il marinaio Williams ma soprattutto c’è Jonathan Lambert, un po’ marinaio un po’ avventuriero ma soprattutto pirata. Il copione lo fornisce di un certificato di nascita ad alto tasso simbolico: proviene da Salem, piccolo borgo che tutti conoscono per la caccia alle streghe di fine Seicento resa immortale da una sfilza di pellicole.

In testa aveva una cosa sola: portarsi appresso «semi, animali, verdure e alberi da frutto» per farsi lasciare in uno scoglio in mezzo al mare e proclamarsene re, facendo fortuna con la vendita di pelli e olio di foca alle navi di passaggio. Poche settimane più tardi, arriva anche il quarto:  Andrew Millet, pure lui yankee, sbarca dalla Queen Charlotte. A giugno pubblica sulla “Boston Gazette” un proclama in cui si autocertifica come padrone sovrano di quello scoglio.

Qualche migliaio di chilometri più a nord, l’Europa era alle prese con l’apice della potenza di Napoleone: o sei sotto di lui o sei un suo stato-satellite o sei comunque un alleato. Fino alla campagna di Russia. Quaggiù nell’Atlantico invece i sogni di gloria per Lambert però durano poco più di un anno: le cronache ufficiali dicono che già il 17 maggio 1812 i tre americani sono spariti. Lo ricostruiranno un po’ a spanne in seguito: càpita che il 5 marzo 1813 si affacci da quelle parti una fregata della Royal Navy, la Semiramis con i suoi 36 cannoni, e trovi solo il livornese. Cosa è successo? L’ex pirata labronico dice prima che non lo sa, poi che era tutta colpa di un incidente di pesca, quindi invece che c’era stata una litigata e gli altri se n’erano andati per i fatti loro non si sa dove. Più probabile la quarta ipotesi, tutti l’avevano immaginata e un bel giorno Corri la spiattellò forse perché era mezzo ubriaco: li aveva fatti fuori lui era diventare il padrone di tutto.

La pacchia però stava per finire: giusto il tempo per far mettere piede sull’isolotto speduto ad altri due americani, ovviamente John entrambi, di cognome Tankard l’uno e Telson l’altro. Pochi mesi a cavallo fra 1814 e 1815, e anche loro spariscono. Arriva infine uno spagnolo, tal Bastiano Comilla, deve aver capito che aria tira e fa il suddito. La pacchia stava per finire per colpa di qualcuno che veniva da fuori. Solo che in quel caso non erano poveracci su barconi malconci bensì la Marina militare dell’Impero britannico in tutto il suo splendore.

Do you remeber Sant’Elena? Anch’essa isola remotissima sulle carte nautiche. Qualcosa questo nome dovrebbe dirvi, magari ripescando dall’album degli amarcord del liceo. Esatto: l’esilio di Napoleone Bonaparte. Siamo in un quadrato di duemila miglia nautiche nel secondo decennio dell’Ottocento richiamò l’attenzione di tutte le grandi flotte europee: era il 1815 e bisognava sorvegliare quell’isolina sperduta più che se fosse Alcatraz. L’avevano già fatto pochi mesi prima: l’imperatore di tutta l’Europa l’avevano rinchiuso a maggio 1814 all’isola d’Elba dandogli la dignità di principe dell’isola toscana, c’era rimasto qualche mese e prima della primavera successiva era già di nuovo a giocarsi la riconquista. Solo che a Waterloo è finita com’è finita. E neanche un anno e mezzo dopo l’inizio del primo esilio a Portoferraio, ecco che le grandi potenze lo accontentano ma con uno sberleffo: siccome voleva finire i suoi giorni in una casetta rurale in terra inglese, insieme a un seguito limitato a tre generali, un alto funzionario, un medico e una dozzina di domestici lo imbarcano su una nave e lo spediscono nel villaggio di 700 persone su un isolotto circondato dal nulla dell’oceano.

Essendo Tristan da Cunha una possibile base, forse l’unica, dalla quale preparare eventuali blitz per far tornare in sella Napoleone, ecco che stavolta Sua Maestà Britannica, pur senza pretendere di far penzolare il generale còrso da una forca (è stato pur sempre un imperatore…), diciamo che vuol esser sicuro di non ritrovarselo di nuovo fra i piedi sul campo di battaglia. Tristan de Cunha diventa l’avamposto per sorvegliare Sant’Elena e Napoleone: e giù cannonate a chiunque faccia il furbo. Non sappiamo cosa abbiamo pensato quel ferragosto del 1816 quando misero piede a Tristan de Cunha: si immaginavano di incocciare in soldati francesi? In fedelissimi del conquistatore còrso? In realtà trovarono soltanto il livornese e il suo suddito, che invece del Venerdì di Robinson Crusoe era europeo pure lui e si chiamava Bastiano. «La guarnigione – riferisce Bucci – rimase mesi su quel fazzoletto dimenticato e ai marinai non restò che fraternizzare con il livornese. A Corri non dispiacque la cosa; anzi faceva di tutto per frequentare la cantina degli inglesi. Spariva e tornava pieno di monete d’oro per comprare grandi boccali di grog e di rum».

Ci vorranno altri settant’anni prima che Robert Stevenson metta mano alla penna per scrivere uno dei pilastri dell’immaginario nel segno di mare, pirati e oro (“L’isola del tesoro”) e un secolo e mezzo prima che la premiata ditta Disney si inventi per i propri parchi il filone dei “pirati dei Caraibi” (che diventerà poi anche una saga a suon di film). Ma i dobloni da qualche parte doveva pur scovarli quel tale: ecco perché se ne è dedotto che Corri avesse nascosto in qualche angolino sperduto dell’isola più sperduta una cassa con le monete d’oro che aveva sottratto agli americani.

Lo scrigno non è stato trovato e tuttavia un tesoro l’arcipelago più remoto del pianeta ce l’ha: dall’autunno 2020 è diventata la riserva marina più grande dell’Atlantico, quasi 700mila chilometri quadrati, l’equivalente di «tre volte la Gran Bretagna», dicono gli ecologisti della Rspb, la Lipu inglese. Ma hanno fatto tesoro anche del loro essere unici al mondo: basti dire che hanno creato un negozio online con il quale la comunità locale, 238 persone, si finanza vendendo maglioni, tazze, calzini, berretti, oggetti artigianali e via dicendo. Soprattutto magnifici francobolli. Lo trovate all’indirizzo www.tristandc.com: adesso – il marketing non è acqua – si sono inventati pure una linea di monili chiamata “i tesori di Tommaso”. Capito, ‘sti ragazzi?

Un singolarissimo legame con l’Italia è rimasto: sull’isola sono quattro gatti, ma fra i sette cognomi prevalenti ce ne sono due che rimandano a vecchie famiglie di marinai di Camogli (Genova): i Repetto e i Lavarello, bisnipoti di Andrea Repetto e Gaetano Lavarello, sopravvissuti al naufragio del brigantino “Italia” carico di carbon fossile e arrivati qui nel 1892. Ancora oggi il museo marinaro di Camogli rimanda all’isola atlantica come a «un quartiere “lontano” della nostra città».

Nel frattempo non crediate che ci siamo persi di vista l’altro italiano di questa storia: il nostro Tommaso. Anzi, a dar retta ad altre ricostruzioni di tutta questa telenovela ottocentesca quel Bastiano sarebbe stato invece una Bastiana Punchus Camilla di Mahon, una mezza avventuriera che ha lasciato l’isola spagnola di Minorca. Dall’isola continuano a parlare di un Bastiano che fa da sguattero, invece in una conferenza promossa dall’associazione culturale emiliana La Rosa di Poviglio si accredita anche una complicata love story che sembra una serie tv: da un lato, Tommaso ex corsaro rimasto mezzo cieco e parecchio zoppo che torna a Livorno e scopre che la moglie è scappata con i suoi soldi; dall’altro, Bastiana crede a un tipaccio che le promette una vita da signora e poi la schiaffa in un bordello, girovaga poi i vari gironi infernali del caso fino a finire nella landa più remota che ci fosse.

Bastiano o Bastiana che sia, è passato a malapena un anno da quando il birbaccione livornese ha fatto la conoscenza della guarnigione britannica anti-Napoleone ed ecco che per Tommaso è arrivato il momento di tirare le cuoia: non sapremo mai se la dipartita è stata agevolata da un tagliagole agli ordini di Giorgio III, dinastia Hannover, sul trono d’Inghilterra ben prima degli Windsor di adesso. Fatto sta che esce di scena con i piedi in avanti: incredibile a dirsi, per un regno incantato che oggi si raffigura come una comunità fuori dal mondo (la “capitale” si chiama “Edimburgo dei sette mari”), senza ladri e quasi senza bisogno di far circolare denaro perché l’economia ha una significativa componente di baratto.

Talmente fuori dal mondo da esser senza ladri sì, ma anche senza Covid: così l’hanno descritta dal nostra parte del mondo. A dirla tutta, sull’isola l’hanno presa invece seriamente: anche perché c’è l’ospedale ma manca la terapia intensiva. Perfino nell’“isola più isola del mondo” ci sono stati aspetti di simil-lockdown e quarantena, anche se il distanziamento sociale l’ha fatto soprattutto una barriera di migliaia di miglia di oceano. E tuttavia, nella primavera 2021 è arrivato il vaccino: per consegnarlo è stata attivata una catena logistica refrigerata che l’ha portato in aereo fino alle Falkland e poi con una nave della Marina britannica, dopo giorni e giorni di navigazione, fino alla “capitale” dell’isola.

Tristan da Cunha deve il suo nome al navigatore-esploratore che l’ha individuata per primo agli inizi del Cinquecento ma senza sbarcare: già, perché le difficoltà di trovare una insenatura riparata per le navi la lasciano fuori dalle rotte. Alla metà del Seicento la nave olandese “Heemstede” si ferma per fare rifornimento di acqua, anni più tardi va a vuoto il tentativo di colonizzazione sempre di marca olandese. A questo proposito c’è anche un’altra storia che meriterebbe di essere raccontata: riguarda il fatto che dal porto di Livorno partì la spedizione finanziata dai Medici per andare alla conquista di una colonia in Sudamerica: volevano farne una base per l’import di legname pregiato e comunque infilare il Granducato di Toscana a tavola con le grandi potenze dell’epoca quantomeno come big di seconda fascia ma con proiezione al di là dell’Atlantico.

Faceva parte della squadra anche sir Robert Dudley, l’ingegnere che costruirà il Porto Mediceo e farà la fortuna di Livorno. Ma i protagonisti del blitz amazzonico dei Medici sono i fratelli Thorton: Robert e Gilles al comando di due navi. Chissà come la presero i livornesi quella domenica di metà luglio del 1609, poco dopo che Livorno era stata elevata ufficialmente al rango di città: dal galeone Santa Lucia Bonaventura vennero sbarcati pappagalli coloratissimi e alcune nativi. Morti quasi tutti per un virus dal quale non avevano la minima difesa: ne sopravvisse uno che, arrivato a sapersi esprimere nella lingua toscana dell’epoca, non faceva che decantare le grandi ricchezze della sua terra d’origine. Ma qui si aprirebbe non un capitolo bensì un libro nuovo, forse una enciclopedia: anche perché il capitano Thorton aveva immaginato di imbarcare contadini livornesi per portarli al di là dell’Oceano. Tutto finisce quando, pochi mesi più tardi, il granduca Ferdinando muore e il figlio Cosimo non si interessa granché dell’avventura sudamericana: per lui le ricchezze vanno cercate semmai al di là del Mediterraneo, sulla sponda nordafricana.

 

 

 

9 Comments

  1. lucyluxλουτσια ha detto:

    Un vero capolavoro, direi un elzeviro ricco di humour e di colpi di scena! È degno di essere letto da un pubblico …europeo! Se mi posso permettere, occorre togliere qualche refuso ed è perfetto

    1. Mauro Zucchelli ha detto:

      Vado a riguardare. Grazie prof, con i refusi ho inutilmente combattuto una vita

  2. Ivo ha detto:

    Sempre un piacere leggerti Mauro. Salutoni

  3. Giovanni Golino ha detto:

    Mauro grazie è una lettura piacevolissima, divertente e ricca di spunti che vorresti immediatamente approfondire.

    Grazie!

    1. Mauro Zucchelli ha detto:

      Per ora non ci sono riuscito. Ma ci provo

  4. Massimo Bianchi ha detto:

    Veramente interessante.Grazie per arricchire la nostra conoscenza.Saluti

  5. Stefano ha detto:

    Ancora grazie Mauro per questo bel contributo,
    Buon proseguimento

  6. Stefano ha detto:

    Bella storia. Bravo Mauro. Efficace e sognatrice di un mondo che non c’è più….

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