Le donne assaltano i forni, i militari sparano sulla “rivolta della fame”: Livorno ai tempi di Bava Beccaris

Milano 1898: i militari prendono a cannonate la folla, a Livorno si limitano alle fucilate. E’ una sommossa dimenticata (ma con feriti gravi) ed è una sorta di “anteprima” di quel che avverrà pochi giorni più tardi all’ombra della Madunina.

di Mauro Zucchelli

 

I soldati sparano contro i braccianti che occupano le terre e gli operai che brontolano perché i dazi sul pane sono troppo cari. Proprio mentre, come dirà il parlamentare della sinistra radicale repubblicana Napoleone Colajanni, nello “scandalo della Banca Romana”, si lasciavano pressoché indenni «i ladri di milioni, i barattieri i quali finiscono per frequentare l’aula di Montecitorio». È la prima Tangentopoli del Bel Paese da poco unificato da Cavour e Garibaldi: si pensa che travolga tutta intera la classe dirigente da Crispi a Giolitti, in realtà è un fuoco incrociato di dossier che meriterebbe di esser più conosciuto anche dai liceali.

È una crisi in cui era probabilmente coinvolto pure il re a caccia di quattrini per pagare le sue “Olgettine” di allora, una babele infinita di contessine, marchesine e via nobildonnando. Ed era accentuata anche dai costi di un goffo tentativo coloniale di mettersi all’altezza delle grandi potenze europee. C’era il bisogno di tenere alto il gettito fiscale: soprattutto dalla tassazione indiretta sui consumi (l’equivalente della nostra Iva), che colpiva ovviamente principalmente le classi popolari. Risultato: pane più caro.

Sta qui la cornice di una storia che abbiamo forse in un angolino di quel che resta del libro di storia di quinta superiore: le cannonate del generale Bava Beccaris contro la folla di manifestanti a Milano nel 1898. Negli anni in cui la debolezza degli assetti politici (con una sfilza di micro-governi di Rudinì di tipo conservatore-confusionario) si mescola alla disponibilità ad appoggiarsi a una soluzione militare ma come continuità anziché come rottura (golpe). Un eccidio di povera gente senz’armi: alla fine si contano più di una ottantina di morti civili, un poliziotto e un soldato; dopo aver sparato nove cannonate e più di 11mila pallottole. Tant’è che Bava Beccaris non saprà resistere alla tentazione di scendere in politica (e il cosiddetto “re buono” alla voglia di decorarlo seduta stante). È proprio quell’eccidio che armerà la mano dell’anarchico Gaetano Bresci per ammazzare il re: l’ottimo Bava Beccaris pare abbia auspicato lo squartamento pubblico del colpevole, tanto per capire il tipo.

Devo essermi dimenticato come si fa il mio mestiere di cronista, sono al quarto capoverso e non ho ancora scritto la notizia. Essendo passati 125 anni, mica posso pretendere di bussare all’uscio di qualcuno o contattare una fonte via WhatsApp.

Dalla cronologia di Matteo Giunti sul suo prezioso blog (leghornmerchants.wordpress.com) capisco che in quei mesi Livorno vede la realizzazione del bronzo che raffigura Luigi Orlando e l’interramento del fosso in viale Caprera per via della puzza a causa delle acque putride (pensa un po’…). Ma Livorno è anche una città piuttosto all’avanguardia nell’infrastrutturazione dei servizi collettivi: dieci anni prima era fra le prime quattro città italiane a essersi dotata di una “officina dell’elettricità”, in quei giorni di fine Ottocento partiva il servizio di tram elettrico, alla (futura) Terrazza Mascagni c’erano state le prime proiezioni cinematografiche in Europa ad opera proprio dei fratelli Lumiere, pochissimi altri ospedali hanno una apparecchiatura per fare le radiografie.

Sul lungomare c’è il bel mondo dorato dei Regi bagni Pancaldi, nei rioni popolari no: vive un’altra metà della città, quella che fa fatica a svoltare la giornata. Devo ripescare quello che scrivevano i miei colleghi di allora, maggio 1898. La “Gazzetta Livornese”: «Ieri nelle prime ore la massima parte delle botteghe e dei magazzini erano aperti, ma a poco per volta tutti si sono chiusi e verso sera la città aveva un aspetto tristissimo, lugubre». Anche lui la prende ariosa, il punto è che: «Pare che alcuni fornai ieri abbiano venduto il pane a prezzi superiori a quelli annunciati e concordati con la giunta».

La segnalazione di questa vicenda la devo allo storico Enrico Mannari, docente alla School of Government della Luiss, e al suo libro dal titolo “Il cuore rosso di Livorno” sulla memoria storica del rione di Pontino San Marco. È lui che mette in evidenza il carattere femminile della rivolta. Gli dà il destro il titolo del “Telegrafo”: «Le donne assaltano i forni». Il pezzo: «A mezzogiorno all’uscita delle cenciaine dei magazzini del signor Grandi, queste si sono recate a gruppi al forno Natali, posto sulla piazzetta degli scali del Pontino accanto alla farmacia Calvetti, e hanno fatto intendere al padre che volevano comprare il pane a ce tesimi 30 al chilogrammo». Poi si sono avviate verso il mulino Bougleux riunendosi con le «altre donne che lavorano nel magazzino della lana a Torretta».

Detto per inciso: il libro lo presenteremo venerdì 29 settembre alle 17 davanti al leone di Porta San Marco con l’accompagnamento musicale del violoncellista Eugenio Anfossi. Questa rivolta del pane – quasi una anteprima della strage di manifestanti avvenuta a Milano per mano di Bava Beccaris – sta dentro una traiettoria di storie che vanno dalla disperata difesa di Livorno nel maggio 1849 alla grande passione garibaldina dei livornesi e poi alla prima giunta rossa nel 1919, alla nascita del Pci e via dicendo.

Riprendo il filo dalle cronache della “Gazzetta Livornese”: «Pare che alcuni fornai ieri abbiano venduto il pane a prezzi superiori a quelli annunciati e concordati con la giunta»: l’arrembaggio di questa folla arrabbiata inizia per chiedere il pane al vecchio prezzo di 30 centesimi ma poi si passa a dar «l’assalto alle botteghe portandone via tutto quanto vi si trovava».

La “Gazzetta”, tutt’altro che simpatizzante con le ragioni dei rivoltosi, segnala che nella zona di Barriera Garibaldi ci sono «un centinaio di dimostranti» che vogliono dar fuoco alla caserma dei carabinieri. Partono prima gli avvertimenti e poi le fucilate: gravissimo un saponaio «di anni 16» e centrato al ginocchio un suo collega «di anni 18», un altro ragazzo è in fin di vita perché una pallottola l’ha colpito in Borgo Cappuccini. Anche una sfilza di poliziotti e militari si fa curare, ma quasi sempre per sassate. I segni delle palle dei proiettili sono «visibili presso le porte n. 52 e n. 50». Nel frattempo la folla va all’attacco di un tram per sgangherarlo. Al tirar delle somme, quasi 400 gli arrestati.

È un sommovimento sociale che parte dall’esasperazione quotidiana, tant’è che Mannari ricorda come l’assalto a un negozio di calzature in centro vede protagoniste «le popolane insieme a un gruppo di soldati». A Barriera Garibaldi è un negozio di abiti usati a finire nel mirino di quello che tre quarti di secoli più tardi sarebbero stati gli “espropri proletari”: poco importa che lì accanto ci sia la stazione di polizia e che gli agenti rispondano sparando a chi li sta bersagliando di sassate. Di più: il saccheggio riguarda «molti negozi di vino, di olio, di formaggi ma anche di vestiario e calzature». In particolare «nei diversi rioni popolari»: cioè la controparte finisce per essere il piccolo bottegaio.

Qualcosa del genere possiamo trovare nel “quaderno” che lo storico Tobias Abse dedica al “sovversivismo livornese”: parlando dei moti per il caro-viveri di vent’anni dopo, all’indomani della Grande Guerra, ricorderà che «in quei giorni vennero saccheggiati 53 negozi», gli esercenti «lamentarono danni per un valore di 800mila lire», l’equivalente di 1,2 milioni di euro di oggi. Alla fine si contarono ottanta arrestati. Ma questa è un’altra storia, quella che stiamo guardando adesso mette al centro un aspetto: non era bastata l’esplosione di un fortissimo malcontento sociale perché socialisti, repubblicani e anarchici riuscissero a dargli uno sbocco politico. Resta, dal punto di vista dell’ordine pubblico, una polveriera: come segnalano Andreucci e Pescarolo, dall’unità d’Italia alla prima guerra mondiale Livorno mantenga  «il primato di città nella quale si ha il più alto tasso di reati contro l’autorità (violenze, resistenze, oltraggi)».

Queste due metà della città entreranno in guerra l’una contro l’altra nel Biennio Rosso, dopo la Grande Guerra: l’urlo operaio che s’alza dal Cantiere e dalle fabbriche della zona industriale di Torretta metterà paura alla borghesia degli affari (e dei proprietari immobiliari, oltre che dei militari dell’Accademia): il primo round lo vinceranno i rossi con la conquista del Comune grazie all’exploit del sindaco Uberto Mondolfi, amico di Modì; le squadracce saranno reclutate in mezza Toscana agli ordini di un tipo senz’arte né parte come il marchese Perrone Compagni, solo smargiassate e distintivo, per cacciare la giunta socialista, che aveva al proprio interno anche Ilio Dario Barontini. Le istituzioni dello Stato, peggio di Ponzio Pilato, si volteranno dall’altra parte: la violenza politica si faceva ordine costituito, e lo faceva con il timbro dello Stato. Non poteva esserci riprova migliore per far capire da che parte stavano quelle istituzioni nate quando il voto era solo per pochi intimi della nomenklatura sabauda.

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Nelle foto, dall’alto: una vignetta dell’ “Asino” che ironizza sulla repressione del governo Di Rudinì ancor più dura di quella del periodo di Crispi; l’uccisione di re Umberto da parte dell’anarchico Bresci in una tavola di Achille Beltrame per la Domenica del Corriere; il dipinto di Eugenio Cecconi dedicato alle “cenciaiole livornesi” custodito al museo Fattori di Livorno. Nella copertina: Milano 1898, dopo la rivolta i militari conducono in carcere gli arrestati (le immagini sono state scattate personalmente o rintracciate in rete, in caso di problemi relativi ai diritti segnalatelo nei commenti e provvederemo a rimuoverle immediatamente)

4 risposte a “Le donne assaltano i forni, i militari sparano sulla “rivolta della fame”: Livorno ai tempi di Bava Beccaris”

  1. Avatar lucyluxλουτσια
    lucyluxλουτσια

    Sembra in parte di leggere i capitoli ‘milanesi’ del romanzo manzoniano: cenciaiole, saponai, popolane ribelli all’autorità. Molti giovani dovrebbero leggere questo articolo!

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    1. In effetti, i punti di contatto ci sono. Quasi quasi faccio un inserimento nel pezzo: bel suggerimento, prof

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  2. […] Le donne assaltano i forni, i militari sparano sulla “rivolta della fame”: Livorno ai tempi di B… Nelle foto, dall’alto: una immagine azimutale dell’interno del teatro; il francobollo commemorativo del centenario del congresso socialista al Goldoni; il tetto trasparente restaurato negli anni ’90; la visita ufficiale di due presidenti della Repubblica, Mattarella nel 2020 e Ciampi all’inaugurazione post-restauro nel 2004; una panoramica di palchi, palchetti e palco reale (le immagini sono tratte dal web e ritenute di libero uso, se vi fossero dei problemi segnalateceli nei commenti così che possiamo immediatamente rimuoverle) […]

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