Bomba di mafia agli Uffizi, il giallo dell’esplosivo sbarcato nel porto di Livorno e una “manina” misteriosa

Nel maggio ’93 a Firenze la mafia fa saltare la sede dell’Accademia dei Georgofili: 5 morti e quasi cinquanta feriti. Ma c’è solo Cosa nostra dietro l’attentato. E perché il “pentito” Spatuzza, che pure ha partecipato, dice che «questi morti non ci appartengono»?

di Mauro Zucchelli

Quel martedì mattina il traghetto partito da Palermo la sera prima è arrivato puntuale nel porto di Livorno, anzi con un minutino d’anticipo: ore 13,34. Niente di nuovo sotto il sole per il pallone amaranto: come adesso, è costretto a gioire per un gol contro il Cuoiopelli o una vittoria sulla Bagnolese. Ma quel mese di maggio abbiamo alle spalle il pareggio contro il Rapallo (che si rivelerà fondamentale) e addirittura il trionfo sul Sassuolo (sì, proprio quel Sassuolo lì che ora sta in serie A): buon auspicio per il fortunato ripescaggio che riporterà in C2 il Livorno Calcio per via di decreto.

È il 25 maggio ’93, la domenica precedente è l’anniversario dell’assassinio del giudice Giovanni Falcone (poche settimane più tardi il bis con il pm Paolo Borsellino), neanche una dozzina di giorni prima la mafia ha fatto saltare in aria una Fiat per ammazzare Maurizio Costanzo. Ma è tutta roba lontana: lo pensano anche i portuali che stanno lavorando attorno al traghetto appena arrivato a banchina, i ragazzi che vanno al liceo Cecioni e chi fa l’aperitivo in Baracchina Bianca. A bordo di quelle decine e decine di camion e semirimorchi che ora sbarcano dopo quasi venti ore di navigazione ci sono frutta e verdura, magari olio, parecchio vino. Però anche esplosivo.

A cosa serve? Basta solo rammentare che un giorno e mezzo più tardi salta in aria un furgoncino Fiat Fiorino in via dei Georgofili a Firenze: l’esplosione ammazza una intera famiglia e uno studente ma l’obiettivo era colpire gli Uffizi e disintegrare i capolavori d’arte. Fallisce di poco: vengono distrutti oltre 150 dipinti, più di quindici sculture e poco meno di una cinquantina di reperti archeologici ma nessuno dei capolavori per i quali gli Uffizi sono uno dei musei più importanti al mondo. Il Fiorino l’avevano parcheggiato a una ventina di metri dal posto in cui avrebbero voluto…

L’esplosivo è arrivato con un semirimorchio con targa palermitana (PA-15424) agganciato a un camion con targa torinese (TO-5209D): secondo quanto risulta dalla sentenza della Corte d’assise d’appello di Firenze – 1287 pagine, più della Divina Commedia – il viaggio a bordo di una nave della “Grandi Traghetti” lo fa Pietro Carra, amministratore unico di una ditta di trasporti, la Corpora. Tutto confermato dai riscontri forniti dalla compagnia di navigazione. Il trailer farà poi rientro in Sicilia ma partendo da Genova anziché da Livorno, stavolta a bordo di un traghetto Tirrenia e con una differente motrice (con targa di Venezia) e trasportando materiale ferroso. E qualche giorno più tardi: sabato 5 giugno, cioè a distanza di una dozzina di giorni dal viaggio di andata.

Carra dirà che il semirimorchio lo ha «sganciato e parcheggiato al porto di Livorno» e spiegherà di esser rientrato a Palermo «il successivo 5 giugno 1993 con la motonave della società Tirrenia di navigazione», ma cambiando la motrice (stavolta la targa è VE-11500 e il carico è costituito da materiale ferroso).

Quell’esplosivo l’hanno fatto arrivare nel porto di Livorno: un quintale o due di merce sono un ago in un pagliaio, se pensiamo che in quell’anno i camion via mare spediti tramite i traghetti ro-ro hanno trasportato quasi tre milioni e mezzo di tonnellate di merce. Per capirci: in quel mese sono arrivate 453 navi, praticamente 15 al giorno. Sui mezzi pesanti imbarcati sui traghetti ro-ro arrivano ogni santo giorno poco meno di diecimila quintali di merce, diciamo 9.600 per esser precisi. Impossibile pensare che i controlli siano compiuti vagliando centimetro per centimetro ciascun carico, equivarrebbe a bloccare l’andirivieni delle navi: dunque, ci si basa sull’incrocio di informazioni di “intelligence” e sull’intuito. Ma gli agenti non avrebbero mica davanti una bella scatola con scritto “esplosivo”: a una ispezione esterna avrebbero trovato quattro involucri che in aula di giustizia sono stati descritti come somiglianti a forme di parmigiano. Anzi, in questo caso avrebbero visto una simil-forma di parmigiano rivestita ben bene con una corda e poi coperta con scotch da pacchi.

Bisogna aprire una parentesi: in quel maggio ’93 si è trattato dell’esplosivo per la strage dei Georgofili, ma nel porto di Livorno si sono susseguiti i sequestri di enormi quantitativi di stupefacenti, soprattutto cocaina. Principalmente di pertinenza dei clan di ‘ndrangheta. Segno che le cosche vogliono conquistare le banchine labroniche? A dire il vero, per adesso no: la strategia dell’ “inabissamento” che contraddistingue gli ultimi vent’anni della criminalità organizzata (tranne forse le periodiche guerre di camorra) è da sempre il comandamento numero uno per gli uomini dei clan. Me l’ha confermato una fonte confidenziale di ottimo livello: «Non li ho mai visti alle cene che contano per decidere cosa si fa e cosa non si fa in porto». Poi avranno bisogno di allargare qualche maglia nell’operatività concreta, però quella è un’altra storia.

Del resto, una qualche reattività degli apparati di controllo la si è vista: a Livorno era stato mandato un pm come Ettore Squillace Greco, abituato al lavoro nell’antimafia (Dda), al fianco degli 007 delle Dogane (che a Livorno hanno una tradizione già dai tempi di Miele) sono stati spediti alti ufficiali della Guardia di Finanza con curriculum doc. Ipotesi: e se adesso il nacotraffico stesse provando a rifornire di droga l’Europa passando invece dall’Adriatico?

La parentesi, chiudiamola qui e seguiamo il camion arrivato via mare a Livorno che poi passa l’esplosivo a una Uno bianca, il cui equipaggio si appoggia per una notte a Prato. Poi dalla Uno l’esplosivo va trasbordato al Fiorino, rubato nel frattempo: il “parmigiano” viene armato con il detonatore. Il “pentito” Gaspare Spatuzza ci mette la mano sul fuoco perché l’ha fatto lui. A quel punto il Fiorino esce dal garage fuori Prato e…

Questa storia del peso non è una curiosità fine a sé stessa: il consulente tecnico del pm, il perito Vassallo, definito fra i migliori esperti del settore, stima che per produrre gli effetti che ha avuto gli attentatori mafiosi abbiano utilizzato «250 chilogrammi» di esplosivo («con una approssimazione del 15-20%») composto «da tritolo plastico AC-4, plastico al pentrite».

Ma Paolo Borrometi, condirettore dell’agenzia Agi, giornalista antimafia che le cosche vogliono morto, mette l’accento – tanto in un libro (pubblicato dalla casa editrice del “Corriere della sera”) che in un podcast, entrambi intitolati “Traditori” – sul fatto che le testimonianze di prima mano valutano che il commando mafioso abbia predisposto circa 150 chili di tritolo per imbottire il Fiorino. E gli altri cento chili che mancano?

Non è tutto. L’esplosivo di Cosa nostra era il caro vecchio tritolo: l’avevano recuperato dai residuati bellici scovati da un pescatore sui fondali marini e l’avevano macinato e confezionato in un rudere nel vicolo Guarnaschelli a Palermo. Detto così, pare in chissà quale casolare sperduto, in realtà siamo in zona Corso dei Mille, ci sono campi sì ma nel raggio di 200 metri una scuola, una farmacia, una impresa edile e un organizzatore di feste. Luogo fidato e però non in cima a un monte.

È tritolo quel che preparano i picciotti, è tritolo quello che sarà trovato nell’auto con cui lo portano fino al Fiorino. Poi non è più solo tritolo: lo dice Borrometi ma lo ribadisce anche Giuseppe Pipitone (sul “Fatto Quotidiano” e nel podcast “Mattanza”). Con due elementi “strani”: a cominciare dal fatto che non è mai stato spiegato in modo plausibile il “buco” di due ore nella ricostruzione della tempistica con cui avviene la consegna agli uomini del Fiorino da parte di questa gang di mafiosi in trasferta a Galciana, poco fuori Prato, fra il cimitero del paese e un tempio dei Testimoni di Geova. Il Fiorino è esploso alle 1,04 ma il gruppetto dei mafiosi era partito verso Firenze prima delle 22. I due riferimenti orari sono certi: la partenza è avvenuta durante la partita di Champions League, inizia alle 20,15 e il Milan esce sconfitto. Tre ore per fare un pugno di chilometri fra Galciana e gli Uffizi? Non avevano Google Maps, ma ora sappiamo che questo assistente web ritiene che ci vogliano 40 minuti. Oltretutto eravamo di notte, non nell’ora di punta.

E l’altro tassello del puzzle? Non è stato trovato solo tritolo ma anche tracce di altri esplosivi militari ad alto potenziale (il podcast dell’Agi enumera: «T4, pentrite, nitroglicerina, nitroglicole, dinitrotoluene»). Se la mattiamo insieme alle due ore di “buco”, è come se fra Prato e Firenze una “manina” avesse quasi raddoppiato la quantità di esplosivo aggiungendo elementi in grado di rendere molto più devastante la deflagrazione.

Le stranezze sono come le ciliegie, una tira l’altra. E, in effetti, vale la pena di seguire gli indizi di Borrometi: il portiere di un edificio in zona Georgofili nota che al volante del Fiorino c’è un uomo alto 1.80 (ma è stato condannato un tizio più basso di almeno dieci centimetri) e vede una giovane donna con capelli neri, corti e lisci, abbigliamento tipo hostess, mentre due uomini fanno fatica a mettere a bordo di un’auto un pesante borsone di tela plastificata. Non ve lo ricordavate? Certo, la testimonianza di lui e l’identikit di lei gli investigatori se li dimenticano in fondo a un cassetto (e solo a distanza di 29 anni dalla strage li scopre la commissione antimafia). Erano stati più solerti alcuni tizi che erano andati dal portiere e gli avevano detto che doveva tenere la bocca chiusa (ma come facevano a sapere che aveva testimoniato?). Ovviamente è solo una coincidenza che anche sulla scena dell’assassinio del giudice Falcone siano stati trovati mozziconi di sigaretta che dall’esame del dna risultano esser stati fumati da donne. Ma soprattutto: il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza – che pure a Prato ha preparato il tritolo per gli Uffizi – cosa vuol indicare quando dice che «i morti dei Georgofili non ci appartengono»?

Tutto questo sembra assomigliare a qualcos’altro: bisognerebbe riprendere il filo del libro di Giovanni Bianconi dal titolo “Un pessimo affare”. Tema: per Cosa Nostra era del tutto controproducente assassinare Borsellino proprio mentre si doveva evitare di alzare troppo i toni, visto che si stava discutendo di come ammorbidire l’ “ergastolo duro” per i boss mafiosi. Glielo dicono a brutto muso anche a Totò Riina, e questo già è la riprova di quanto tanti mammasantissima fossero preoccupati. Il “capo dei capi” fa capire che è qualcosa che viene da chi sta ancora più in alto di lui, e non gli si può dire di no.

L’ho raccontato diffusamente in un altro post di questo blog, in coda metto il link. Ma c’è anche qualcos’altro che mi riporta a un’inchiesta che ho fatto per le pagine del Tirreno. Tritolo, T4, pentrite, nitroglicerina, nitroglicole, dinitrotoluene: ma dov’è che li avevo sentiti? Nella superperizia choc di Alessandro Massari, 007 della Criminalpol ma col camice bianco della chimica: ne aveva trovato infinitesimali tracce in un locale del traghetto Moby Prince, divorato dalle fiamme dopo la collisione con la petroliera Agip nella primavera ’91, a un niente dalla costa di Livorno. Già, ma c’erano davvero? Questa storia del trasporto dell’esplosivo via mare, questa storia in mezzo a un oceano di dubbi. Compresi quelli dell’ultima commissione parlamentare d’inchiesta.  

DALL’ARCHIVIO:

i segreti dell’agenda rossa di Paolo Borsellino fanno gola a tutti e non è la mafia a farla sparire

Paolo Borsellino: l’agenda rossa rubata dopo la strage porta a qualcuno più in alto della mafia

 

Nelle foto, dall’alto: il luogo della strage a Firenze (così come la terza); una parte del porto di Livorno; il giornalista Paolo Borrometi; il capomafia Totò Riina; la poesia scritta dalla piccola Nadia Nencioni, vittima della strage, tre giorni prima di morire (le immagini sono state scattate personalmente o rintracciate in rete, in caso di problemi relativi ai diritti segnalatelo nei commenti e provvederemo a rimuoverle immediatamente)

Una replica a “Bomba di mafia agli Uffizi, il giallo dell’esplosivo sbarcato nel porto di Livorno e una “manina” misteriosa”

  1. L’Italia ha una storia lontana e recente percorsa da tanti misteri.Bella ricostruzione, lascia un turbamento e tanti interrogativi.Saluti

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