Burla di Modigliani: la falsa testa «doveva essere un enorme pene», e questo non è uno scherzo

Il 2024 sarà il 40° anniversario dello scherzo più famoso del mondo. L’ “altra verità” che emerge da un ponderoso annuario di liceo. L’ingegnere che guidò il dragaggio del fosso e l’idea dei “serpenti”: la guerra fra gruppi di potere per la conquista del mercato dei Modigliani. Il “giallo” di Filastò e le denunce di Pepi

di Mauro Zucchelli

Immaginatevi la storia che più negli ultimi cent’anni ha portato Livorno sulla bocca dell’intero mappamondo: ma proprio tutto, forse comprese le foreste di mangrovie in Papua Nuova Guinea. Immaginatevi che poi si scopra che il racconto presenta qualche lato mai confessato, mai detto, mai visto. Sarebbe un gran colpo giornalistico: solo che bisogna andarselo a scovare non su “Report” o sul “Corriere” bensì in un polveroso annuario del liceo classico Niccolini-Guerrazzi in cui l’associazione degli ex alunni ripercorre la gloriosa storia dell’istituto che ha avuto in cattedra, credo, prof come Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli e Carlo Azeglio Ciampi. E la storia? È quella della burla del Black & Decker: le false teste di Modì, capitolo inox di quanto siamo ganzi e divertenti noi livornesi (ma solo in un secondo tempo: agli inizi, se li sarebbero mangiati, con i panni e tutto, quei ragazzi che avevano rotto l’incantesimo della città orgogliosa sotto i riflettori per via della ricerca delle sculture nella melma dopo tanti anni…).

Gli scoop in realtà sono due: 1) c’era un quinto ragazzo nel team che ha escogitato la burla, e anzi è stato proprio lui a buttar lì una curiosa idea iniziale; 2) al principio non ci si prefiggeva di raffigurare teste simili a quelle che Modigliani avrebbe potuto realizzare bensì qualcosa di assai più goliardico. «Un padùlo», come uno dei protagonisti dello scherzo dice nell’intervista a Gianfranco Porrà e poi confermerà davanti al mio taccuino via smartphone. Se non avete sottomano il dizionario del Borzacchini che per certe cose vale più del Devoto-Oli, dicesi “padùlo” un grosso fallo. Non avrebbe potuto esserci uno sfottò più labronico alla complessa operazione con cui si tentava di recuperare le sculture. Tradotto: ecco cosa avete trovato. Appunto. Non è forse vero che “il Vernacoliere” mette in locandina: «Trovata una sega»? Quanto all’epopea dei critici, la rivista satirica livornese non iniziò forse a sfottere i dotti sapienti che dibattevano sulla “seghità”?

I quattro della 3° B sperimentale del Classico, che l’estate precedente avevano fatto la maturità tutti insieme, per completare la gag andranno a farsi fare l’autografo con dedica dalla curatrice del catalogo delle teste ripescate. La famosa foto-scoop dei ragazzi che mostrano al mondo di aver scolpito loro la testa l’ha fatta la sorella tredicenne di uno di loro, su richiesta della mamma «perché nel rullino mancava qualche foto e lei voleva portarlo a sviluppare».

La pietra l’hanno trovata nel giardino di casa di uno dei quattro autori dello scherzo: erano in programma alcuni lavori e lì sono stati trovati gli strumenti per creare la scultura. Al momento di buttarla nel Fosso Reale c’erano anche altri due ragazzi: si era «intorno alla mezzanotte per non farci vedere» eppure «c’era una finestra illuminata e ci accorgemmo che un tale ci guardava». Non so se sia una leggenda metropolitana ma si racconta che il tipo abbia segnalato la cosa, però nell’euforia del ritrovamento nessuno voleva farsi rovinare la festa da una telefonata. Obiettivo dichiarato nell’intervista: «fare i ganzi» e «finire sul giornale», parola dei diretti interessati.

Com’è noto, la cosa prenderà una piega diversa: troppo complicato realizzare un fallo di pietra, e oltretutto «un po’ volgare» (anche per via del proposito di scriverci sopra un messaggio beffardo). Di lì a pensare alle teste, ecco è un attimo: non è dato sapere se, a parte il significato traslato, anch’esso molto “borzacchiniano”, quanto i Nostri fossero consapevoli che proprio le teste erano l’oggetto dell’attenzione di Modì scultore. A ciò si aggiunga che anche Amedeo Modigliani era un tipino abbastanza irriverente: nella bella mostra del museo Fattori dedicata a Raffaello Gambogi (in cartellone a villa Mimbelli fino a fine febbraio), c’è un tovagliolino del Caffè Bardi in cui Modì schizza il ritratto di Aristide Sommati. Ma la firma è “Benvenuti”: uno sberleffo al pittore Benvenuti per dire che un disegno così orrendo avrebbe potuto farlo solo lui. Però un conto è un “padùlo” di pietra, la cosa sarebbe finita lì in cinque minuti e una risata, e ben altra cosa è la scultura di una testa: c’era soprattutto la voglia di crederci ed è il fatto di averci creduto af averla trasformata nello scherzo più famoso del secolo.

Se torno a parlare della burla delle false teste di Modì è perché la prossima estate sarà il 40° anniversario dello scherzo che ha fatto sghignazzare il globo terracqueo: chissà se accadrà qualcosa. Potrebbe essere l’occasione per cogliere al balzo la palla e ricordare un ottimo ingegnere di parte pubblica, Michele Caturegli, scomparso troppo presto nel 2020: è stato il tecnico che, dopo aver lavorato alla realizzazione del nuovo sistema fognario che consente a Livorno di avere un mare balneabile, ha ideato il meccanismo per dragare il Fosso Reale in cerca delle sculture di Modigliani. Ha dovuto farlo con quattro soldi: se le mostra delle teste arrivate dalla Tate Gallery costa meno di 200mila euro di adesso, è già tanto se per l’operazione recupero si mettono a disposizione 20mila euro attuali. Come dire: arrangiati un po’.

Dopo esser stato zitto per più di un terzo di secolo, prima di morire mi ha chiamato per raccontare cos’erano stati quei mesi: a cominciare da quando il Comune, in una Livorno rossa come nessun’altra città d’Italia, si mette in testa di dragare i fossi ma nessuno sa come fare. Tirare via l’acqua e mettere in  secca i fondali del Fosso Reale rischia di creare un gravissimo problema igienico. Gli dicono: Michele, vedi di inventarti qualcosa. E lui un passo dopo l’altro idea questa zattera con ruspa, la benna ha i “denti” foderati di materiale morbido così da non danneggiare quel che si escava. Fanno le prove sullo Scolmatore per graduare la forza del “morso” e attestare, stringendo vasi di terracotta, che non avrebbe rotto le sculture se le avesse trovate. Figurarsi: ritrovare le statue di Modì e poi farle sbriciolare dalla ruspa del Comune.

Da lui – queste righe vogliono essere anche un omaggio al suo talento e alla sua memoria – ho avuto un lunghissimissimo racconto. Con un tono di fondo: al di là della burla in sé, non riusciva a scacciare dalla mente l’idea di esser finito inconsapevolmente sul ring di una guerra per bande fra potentati che si scontravano per acquisire il controllo del mercato degli expertise e poter dire cos’era buono e cos’era falso riguardo alla produzione di un artista, Modì, che ha quotazioni oltre ogni immaginabile (con una redditività che neanche la cocaina garantirebbe): solo le opere aggiudicate nelle principali case d’asta negli ultimi 18 anni hanno un valore superiore ai 707 milioni di dollari, solo guardando al gruppo di quelli di maggior valore. Quanto il bilancio di un grande marchio, tipo Dolce & Gabbana per esempio. Ma per la giornalista del Tg1 Dania Mondini e il criminologo Claudio Loiodice, ex poliziotto sotto copertura, la cifra è enormemente più grande: parlano di «otto miliardi di dollari». Quasi quanto un gigante come Poste, poco meno di Tim.

Carlo Pepi, l’appassionato collezionista in guerra contro i falsi, non usa giri di parole: «qualunque opera ha quotazioni da capogiro e, eccetto me, non c’è nessuno che faccia sentire la propria voce e si batta contro quest’alluvione di falsari che fa comodo a troppi». Di più: «Mi perseguitano perché è un business miliardario». E al giornalista che gli chiede come mai tutto questo bailamme è concentrato su Modigliani, replica: «Perché nessuno ne tutela il nome, è morto praticamente come un figlio di nessuno».

Caturegli me l’ha confidato così, gliel’aveva chiesto la Capitaneria se le spallette dei fossi rischiavano di essere danneggiate dalla ricerca delle sculture di Modì sul fondo del canale: «Una bischerata, se i calcoli li facevi con i criteri normali. Ma io, giovane ingegnere, mi sbagliavo: non avevi messo nel conto le tonnellate di “serpenti” che avrebbero pesato su questa vicenda». Non è una congettura mia: i “serpenti” erano i personaggi e interpreti di questa “guerra mondiale” per accaparrarsi il mercato dei Modì. E qui saltava fuori un tintinnar di scandali che aveva accompagnato altre mostre: si chiedeva se erano le prove generali di quel che sarebbe successo poi.

A questo punto, tanto per metter su un po’ di atmosfera da “giallo”, vale la pena andare a ripescarsi un libro dell’avvocato Nino Filastò. Si intitola “La notte delle rose nere” e l’ha pubblicato Mondadori nel ’97. Solo una libera ispirazione da romanziere o un giallo a “chiave”? Filastò non può dircelo: si è spento – e qui cade un altro anniversario-coincidenza – alla fine di dicembre di due anni fa ma anche in “La tana dell’oste” sembra aver infilato nella narrazione quella che ritiene la verità. Non  dimentichiamoci che nel romanzo si parla di una villa-museo a Crespinello che pare proprio la villa-museo di Carlo Pepi, il collezionista da sempre impegnato in una battaglia contro i falsari di Modigliani. Non basta: l’ambientazione è proprio Livorno. C’è anche una morte sospettissima di un critico americano piombato qui a prendersi non le teste della burla ma altre sculture autentiche e portarsele negli Usa: un po’ come la morte di Jeanne Modigliani, no?

Quando mi ha raccontato tutta la storia per come l’ha vissuta, Michele Caturegli è partito dalla convulsa mattinata del primo ritrovamento. Gli dicono che è stato trovato “qualcosa”. Non ci sono smartphone e le comunicazioni si fanno con i telefoni fissi così come per le foto serve un rullino. Intuisce che quel “qualcosa” è davvero “qualcosa”, sono giorni che la ruspa porta a galla rottami, bici arrugginite, rifiuti di ogni tipo e dunque se si sono presi la briga di chiamarlo significa che ci siamo. Ma il rullino l’ha esaurito e si precipita a trovarne uno, poi va sul luogo dell’escavo. «Quel rullino di foto – mi dirà Caturegli – me lo sono tenuto io, anche se mi hanno offerto un mare di soldi: poi l’ho dato all’assessore e il Comune ha messo a disposizione le immagini. Il mio babbo mi ha insegnato una cosa chiara: l’onestà non è in vendita».

L’ingegnere, in una casa che conserva alle pareti ritagli, foto e testimonianze di quell’evento, insiste su una doppia sottolineatura. La prima riguarda l’assessore alla cultura Claudio Frontera che, appena Caturegli gli dice del ritrovamento di “qualcosa”, ha una intuizione: «Michele, qui ci stanno prendendo per il c…». La seconda è il sussulto della folla: per portare a Villa Maria la prima testa ripescata si utilizza la vettura di un geometra, a quel tempo le vetture hanno ancora le targhe con la sigla della provincia e quella è targata Pisa. Si alza un grido: «I pisani ce la vogliono rubare». E uno sciame di motorini scorta l’auto per sincerarsi che la portino a Villa Maria, a quel punto presa d’assalto come se fosse la curva dello stadio il giorno del derby.

La giornalista del Tg1 Dania Mondini e il criminologo Claudio Loiodice, ex poliziotto sotto copertura, autori di una inchiesta su Modì e i giorni della burla, giurano che le trame non sono finite quel giorno della beffa, anzi. L’hanno ribadito in occasione della mostra livornese del 2019: «La macchina che fabbrica capolavori si era già rimessa in moto, volevano scippare a Livorno la celebrazione-clou» così da poter dare un “curriculum” a varie opere per accreditarle come autentiche. Quanto alla beffa, nell’intervista che ho fatto loro per “Il Tirreno” mi hanno detto che i ragazzi possono aver fatto anche una zingarata, il loro intervento però «ingarbuglia i piani di chiunque stia combinando qualcosa attorno all’operazione recupero nei Fossi». Basti pensare che il catalogo parlerà di “due teste ritrovate” eppure le teste sono tre: due erano quelle di un giovane scultore livornese che dichiarerà di aver orchestrato una provocazione contro il business dell’arte, la terza è quella dei ragazzi (ma ripescata per seconda).

Lo dicono ripetendo: «Dietro il mercato dei falsi ci sono enormi flussi economici e riciclaggio, cioè grande criminalità ma finora mai percepita come tale». Aggiungendo: «Non c’è bisogno neanche di far viaggiare il quadri, basta trasferire solo l’expertise (che è quello che certifica l’attribuzione e dunque il valore economico). Non esiste nient’altro al mondo, nemmeno il traffico di cocaina o la tratta di esseri umani, che si presti al riciclaggio di denaro quanto il mercato di falsi capolavori d’arte. Oltretutto l’allarme sociale è pressoché zero, altissima la possibilità di farla franca o cavarsela con pene meno gravi di quelle che toccherebbero a un ladro di mele».

DALL’ARCHIVIO DEL BLOG

Un’altra storia che coinvolge Livorno e un altro grande nome della cultura italiana: in questo caso Pier Paolo Pasolini. Ecco il link

Nelle foto, dall’alto: sotto il titolo una falsa testa della “burla di Modigliani”, la locandina del Vernacoliere dedicata al ritrovamento, i primissimi momenti della scoperta della scultura, foto di gruppo per tre dei ragazzi protagonisti dello scherzo, le cifre di aggiudicazione di quadri di Modigliani in alcune aste degli ultimi anni, la pagina del Tirreno con il racconto di Caturegli, la folla a Villa Maria, la presentazione del libro di Mondini e Loiodice (le foto sono state reperite in rete o sono state fatte da me, qualora vi siano problemi chiedo di segnalarmelo e provvederò immediatamente alla rimozione)

3 risposte a “Burla di Modigliani: la falsa testa «doveva essere un enorme pene», e questo non è uno scherzo”

  1. Una ricostruzione circostanziata di una vicenda che mantiene qualche lato in ombra.Commovente il ricordo di Michele Caturegli ,una persona per bene e un professionista fedele al Comune con cui ho avuto modo di collaborare negli anni della mia presenza nella civica amministrazione.La vicenda delle teste lasciò morti e feriti tra cui “l’intellighenzia”dei critici d’arte e la sig.ra Durbè che caparbiamente volle e fece percorrere una strada che avrà certo segnata la storia dell’umorismo,ma che non accrebbe l’immagine della Città.Troppa superficialità e troppa fretta che per i pubblici amministratori non sono proprio due virtù.Bravo come sempre e tanti auguri per il prossimo anno.Massimo

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  2. Mauro, in tutto questo si inserisce anche la storia di Giusepoe Saracino e le tre teste “presunte” vere, di cui pero’ non si parla piu’ ……

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  3. […] industriale o il Pil di un paesotto africano: in un altro post (il link è qui e in calce https://ilmediterraneo.blog/2023/12/29/burla-di-modigliani-la-falsa-testa-doveva-essere-un-enorme-pe&#8230😉 ho segnalato che «solo le opere aggiudicate nelle principali case d’asta negli ultimi 18 anni […]

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