Il falso del primo film del papa finisce in uno show osceno: un prof livornese risolve il “giallo”

Come uno 007 in mezzo a tonnellate di scartoffie di archivio in Vaticano, Gianluca della Maggiore scova le prove di cosa accade più di un secolo fa in Vaticano con la svolta nella produzione di immagini da parte della Chiesa e il patatrac che incasina tutto. Venerdì i retroscena ai raggi x in un incontro a Villa Maria con lo studioso labronico

di Mauro Zucchelli

Personaggi e interpreti di questa storia? Uno: il papa. Anzi: un grappolo di papi a cavallo fra fine Ottocento e l’inizio del secolo successivo, ma anche un po’ prima e un po’ dopo. Poi, siccome siamo in un racconto legato al cinema dei primordi, a scorrere il copione ci si accorge che sulla scena troviamo pure il cineasta italiano Vittorio Calcina: fin qui l’hanno sempre ritenuto l’autore delle prime immagini di un pontefice in versione cinematografica. Dietro quel “loro” c’è non solo chiunque abbia scritto qualcosa su questo capitolo della storia del cinema.

L’editore Utet ce la mette tutta per depistare l’attenzione fin dal titolo (“Le vedute delle origini su Leone XIII”) e dalla copertina (niente immagini, solo titolo e autore su fondo verdone bordato di bianco). Eppure si tratta di un “giallo” con tanto di “colpo di scena” e ribaltamento di una verità creduta consolidata. Già, perché sul set c’è anche l’équipe della casa cinematografica americana Biograph e, dietro le quinte tanto di Calcina che della Biograph, la sagoma dei fratelloni Lumiere, cioè la quintessenza del cinematografo di allora. A Livorno li conoscevamo bene: è qui alla Terrazza Mascagni – a un passo dai Regi Bagni Pancaldi immortalati pure da un bel dipinto di Giovanni Fattori – che i Lumiere vennero a exportare la loro novità acchiappa-spettatori uscendo per la prima volta dalla cerchia parigina.

Ecco il link al filmato al centro dell’attenzione: lo pubblica il Vaticano su Youtube

Il video al centro dell’attenzione: papa Leone XIII saluta i fedeli via cinema

Ma soprattutto livornese è il “burattinaio” di questa storia scovata a sorpresa dentro gli archivi vaticani: si chiama Gianluca della Maggiore, è professore associato di UniNettuno (università telematica internazionale) e lavora a stretto contatto con Dario Edoardo Viganò, che per conto di papa Francesco si occupa in Vaticano di quanto si muove nel campo degli audiovisivi e dei nuovi media. Il lavoro dei due è soprattutto con la Fondazione Memorie Audiovisive del Cattolicesimo (Mac) e con il Centro di ricerca Cast (Catholicism and Audiovisual Studies).

Il debutto di un papa in una pellicola cinematografica risale ai tempi di Leone XIII. Siamo in linea con la svolta di fine Ottocento in cui la Santa Sede è di fronte a un bivio: o continua a respingere al mittente tutto quel che è avvenuto dopo la fine del suo millenario potere temporale o accetta la sfida della modernità. Ricordiamoci che Gregorio XVI, nella prima metà di quel secolo, bolla il treno come strumento del demonio e a lungo il Vaticano ordina ai cattolici di restare fuori dalla vita pubblica. Con Leone XIII, il pontefice che vediamo in questo primo “film”, sceglie di gestire l’inizio di una (lenta, lentissima) trasformazione in quel che ora, dopo il Concilio, è un punto di riferimento internazionale come una sorta di autorità morale globale.

Non è un caso che questo pontefice sia quello che, con le tantissime encicliche che prefigurano l’identikit della dottrina sociale della Chiesa, crea le condizioni teologico-pastorali per rompere con il vecchio “non expedit” che teneva i cattolici lontani di tutto (arriverà con Benedetto XV di lì a qualche anno). E non è un caso che questo avvenga di fronte al ciclone della nuova organizzazione sociale che, con l’industrializzazione, vede irrompere sulla scena politica le organizzazioni operaie socialiste.

Il pontefice ha scelto di farsi immortalare poco dopo che nel dicembre 1895 i fratelli Lumière avevano organizzato a Parigi, nella zona del Boulevard des Capucines, al Salon indien du Grand Café, il primo spettacolo cinematografico con quello che viene ritenuto il primo film della storia (“L’uscita dalle officine Lumière”). Però, diversamente da quanto si è sempre creduto, quelle immagini non risalgono al 1896 e non sono il frutto del genio di Vittorio Calcina, che in Italia rappresentava i Lumiere. Bisogna aspettare due anni di più e mettersi sulle tracce di un nome rimasto segreto per più di un secolo: quello di William Kennedy Laurie Dickson che lavora in Vaticano per l’American Mutoscope and Biograph Company.

La versione che accredita Calcina era fornita anche dalla Santa Sede: benché – e la ricerca di della Maggiore ha il merito di averlo ricostruito con piglio quasi da 007 (e altrettanto rigore intellettuale) –  nell’Archivio Apostolico Vaticano fossero da sempre presenti i documenti che indicano questo nuovo orizzonte. Lo conferma, per dirne una, la nota scritta di proprio pugno dal maggiordomo di papa Pecci, Francesco Salesio Della Volpe, che nel giro di qualche annetto ritroveremo prima cardinale, poi camerlengo e infine direttore di conclave. Il destinatario è Sebastiano Morelli e l’indirizzo è quello della Delegazione apostolica di Washington: nel messaggio sono raccontati i tre appuntamenti – a cavallo fra il giugno 1898 e il mese successivo – il pontefice ha avuto davanti alle apparecchiature cinematografiche di Dickson.

Se la guardiamo con l’ottica accademica, lo scoop riguarda lo smascheramento di un falso storico: con puntiglio certosino ecco che della Maggiore dimostra come le immagini siano state girate dalla troupe statunitense, e non da Calcina come diceva finora perfino lo stesso Vaticano (e francamente, è difficile trovare una fonte più accreditata di così, giacché si parla di papa). È su questo che hanno titolato i giornali non solo italiani (Sole 24 Ore, Corriere, Qn) ma anche l’americano Crux, nato da una costola del Boston Globe, lo spagnolo La Vanguardia, lo svizzero Swissinfo e via dicendo.

Il paradosso più incredibile di tutta questa vicenda lo denuncerà un polemista corrosivo come Karl Kraus, sicuramente poco etichettabile come baciapile: la cosa era talmente sfuggita di mano che nelle sale da proiezione – accusa – si poteva comprare «la santa benedizione del papa» insieme a «cioccolato, fiammiferi e gulasch». Di più: i filmati del pontefice potevano essere visti insieme a immagini che per i canoni del tempo erano hard, come suggeriscono titoli tipo “Cosa può succedere in un collegio per ragazze” oppure  “Scherzi sciocchi nella camera da letto delle giovani”.

Nel corso della presentazione del volume alla Filmoteca Vaticana, il saggista Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della Sera, l’ha definito «un giallo appassionante». In effetti, la deriva commerciale-scandalistica ha un effetto ancor più interessante rispetto all’esattezza della ricostruzione filologica. Proprio pensando a questo cominciamo a intuire come mai la Biograph sia stata cancellata in una sorta di “damnatio memoriae” che per un secolo e passa ne ha azzerato ogni traccia. Non è una dimenticanza o uno scivolone involontario, chissà se lo potremmo chiamare un “castigo di Dio”.

Da cosa dipende? Forse dal fatto che la fruizione delle pellicole cinematografiche non era quella che abbiamo presente noi: ora si va a vedere un film che è il racconto di una storia, un po’ come leggere un romanzo per immagini. Agli inizi venivano proiettate scene di vita reale: compreso il varo del regio incrociatore Varese dal cantiere di Livorno. Qualcosa di non molto diverso dall’esibizione di Buffalo Bill nel 1906 alle porte di Livorno che con gran dispiegamento di cavalli, cowboy e pellerossa imbastiscono uno show sulla battaglia di Little Big Horn. Tradotto: una forma di spettacolo popolare che ti portava in casa le stravaganze del pianeta. Frra la donna-cannone, l’ “uomo più alto del mondo”, la “strana lucertola delle Antille”. L’equivalente dei fenomeni da baraccone che gli zingari di Melquiades portano a far vedere a Macondo ai paesani del colonnello Aureliano Buendia…

Però c’è un “però”: non ti puoi permettere di prendere le immagini del papa, vicario di Cristo, e sbatterle in un circo che magari fa vedere le immagini in movimento della mano con sei dita, del cavallo con  la testa al contrario, della donna barbuta e via elencando. Al Vaticano non può andar giù che il pontefice sia infilato in un calderone di inquadrature da circo Barnum. Non solo: proprio perché il clima è da circo, finisce che le proiezioni vengono effettuate in contesti che è un pallido eufemismo definire “problematici” rispetto agli standard della Santa Sede. E con la sottolineatura di Karl Kraus sugli spezzoni hot abbiamo capito dove si è andati a ruzzolare.

Se torniamo un passo indietro, b  isogna aggiungere che il terzo incomodo fra Biograph e Calcina, i fratelli Lumiere che avevano rapporti commerciali con tutti e due, avevano un proprio filo direttissimo con il Vaticano: già all’inizio dell’ultimo decennio dell’Ottocento erano fornitori del papa, si occupavano di inviare alla Specola Vaticana le lastre fotografiche per la “carta del cielo”. Non è tutto: in questa ingarbugliata vicenda si infila anche il fotografo del papa, Francesco De Federicis. Le pellicole girate nei primissimi anni del Novecento sono una decina e sono in gran parte perdute. In mezzo a queste pure un Leone XIII che compie il gesto della benedizione mentre viene filmato dalle apparecchiature di ripresa: un giornale newyorkese ci inzuppa il biscotto arrivando a dire che per il papa era una benedizione uguale a quella ricevuta di persona. Con una doppia conseguenza: una formidabile rampogna da parte del Vaticano e, al tempo stesso, il boom di fedeli che dall’altra sponda dell’Oceano, ben sapendo che mai avrebbero visto il papa personalmente, volevano farsi benedire via cinema.

Della Maggiore mette l’accento su un moulinex di aspetti che forse noi, qui e ora, nel 2024, tendiamo a sottovalutare. Il primo: c’è una sorta di pellegrinaggio inverso, con il papa che attraverso la propria immagine in movimento si fa vicino ai fedeli lontani. Il secondo: nel 1900 si celebra il Giubileo ma, mediante questi strumenti che spostano il papa ai confini del mappamondo almeno in modo virtuale, c’è “l’Anno santo senza la Città santa” (nel senso che si può celebrare la vicinanza del capo della Chiesa senza per forza andare a Roma e questo riduce grandemente il numero dei pellegrini). Il terzo: fino a quel tempo i grossi  impresari  di spettacolo si erano rifiutati di allargare alla domenica la programmazione, la proiezione del papa sul grande schermo diventa il viatico per farne «un affare semi-religioso» (con i riflettori che vanno puntati anche sulla dimensione dell’affare commerciale).

Di scivolamento in scivolamento, nel giro di pochi mesi le immagini di papa Pecci esondano ovunque sulla stampa americana e nei locali di spettacolo: diventano qualcosa di simile al fotoromanzo con didascalie sulle abitudini quotidiane del pontefice (gli piaceva chiacchierare di fiori), che in pratica sta alla pari delle dive del mondo dello spettacolo. Per chi Oltretevere immaginava di gestire l’immagine papale in modo sobrio e ieratico, una brutta batosta: tranne forse quella volta in cui dagli Usa un ritratto di Leone XIII rimbalzò in Italia sulla Domenica del Corriere per mano del “principe degli illustratori” Achille Beltrame. Vederlo così in salute era una sberla ai “gufi” che anche all’interno della curia vaticana si auguravano che tirasse le cuoia presto: non vi ricorda qualcosa di simile a papa Francesco che va in tv da Fazio come fosse lady Gaga o Robert De Niro?

Non c’è soltanto la furibonda arrabbiatura del Vaticano contro la ditta americana, anche la Biograph aveva qualcosa di cui lamentarsi parecchio. Avevano spedito una serie di foto papali agli indirizzi dei vertici vaticani per «private use», e ora se le ritrovavano duplicate abusivamente da decine di fotografi romani che le rivendevano.

Ci sarebbe molto altro ancora da raccontare in questo guazzabuglio venuto alla luce grazie al lavoro di archivio di questo studioso livornese. Le curiosità le lasciamo all’incontro che con Gianl6uca Della Maggiore è previsto a Livorno nei prossimi giorni: appuntamento alla biblioteca di Villa Maria (Centro di documentazione sulle arti dello spettacolo) venerdì 19 gennaio alle 17.30 con la presentazione del volume ad opera di Valentina La Salvia. Ogni riferimento è all’iniziativa denominata “Parliamo di cinema” che viene promossa dal Comune di Livorno in tandem con la Cooperativa Itinera. Occhi puntati sul cinema delle origini: dopo Della Maggiore, a marzo è previsto un triplice round in agenda il venerdì (8, 15 e 22), sempre nel pomeriggio alle 17,30. Protagonisti Renato Bovani e Rosalia Del Porro che illustreranno i primordi del cinema a Livorno così come a Pisa, Viareggio e Lucca.

DALL’ARCHIVIO

UN POST CHE RIGUARDA LA CHIESA DI OGGI, ANZI QUELLA DI DOMANI: IL POST-BERGOGLIO

https://wp.me/pekT6o-38

Nelle foto, dall’alto: papa Leone XIII in una copertina della Domenica del Corriere; una ripresa dal primo film papale; il prof. Gianluca della Maggiore; un giornale straniero con una sorta di “fotoromanzo” papale; la presentazione alla Filmoteca Vatica (al centro Paolo Mieli e a destra Viganò)

2 risposte a “Il falso del primo film del papa finisce in uno show osceno: un prof livornese risolve il “giallo””

  1. Interessaante.Bravo Gianluca e bravo il giornalista.Leone XIII peraltro fu un accanito nemico della Massoneria a cui dedicò particolare attenzione.Era un Vaticano non rassegnato alla perdita del Potere Temporale ,che San Paolo VI ,decenni dopo giudicò posiitiva per le sorti della Chiesa Romana ..Saluti

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  2. Avatar Salvatore Giosuè Luigi
    Salvatore Giosuè Luigi

    Mi piace l’idea di avere una “benedizione” tramite cellulare, un “santino” sempre a portata di mano.
    Utile, quando piove e non vuoi uscire di casa, quando… insomma, infinite possibilità. Una benedizione senza scadenza temporale che si rinnovi ad ogni apertura d’archivio. Sono il meno adatto a trattare l’argomento ma ne apprezzo l’esposizione arguta. Grazie.

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