La “tassa” (nascosta) sulla speranza della povera gente: slot, “grattini” e scommesse divorano la vita di 2mila anziani livornesi

Lo Stato “biscazziere” lucra sulla voglia patologica di gioco di migliaia di persone in ogni città: eccetto l’Irpef, nessuna tassa costa di più alle famiglie

di Mauro Zucchelli

Eccezion fatta per l’Irpef, non esiste “tassa” così pesante: è la “tassa sulla speranza”, cioè quel tentativo di comprarsi un biglietto, un pronostico, una scommessa che possa farci svoltare l’esistenza. Come dire: slot, lotto, gratta e vinci, scommesse sportive, Winforlife, lotteria Italia e via elencando. Parlano i numeri: 136 miliardi di euro nel 2022 in tutta Italia, lo dicono i dati ufficiali del dossier statistico dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Ben di più dei 111,7 miliardi dell’anno precedente, che già era risultato un anno record con un balzo del 21% rispetto a dodici mesi prima. C’entra l’emergenza Covid? Ovvio, ma nel giro di pochissimo tempo siamo già ritornati al di sopra dei 110 miliardi dell’annata pre-coronavirus.

Non sono state ancora pubblicate le cifre riguardanti il 2023 ma, diciamo così, promette “bene” se guardiamo ai dati provvisori: nei primi nove mesi dell’anno le giocate hanno superato i 105,6 miliardi, quasi dieci in più a paragone dell’anno precedente (più 10,5%). Si potrebbe immaginare, senza forzare troppo la mano ai numeri, che a fine anno si possa essere oltrepassata la soglia dei 150 miliardi. Insomma: nel giro di un pugno di anni il 50% in più, raggiungendo livelli mai visti. Come se, con un paragone folle che sta in piedi a metà, questa estate alle prossime Olimpiadi spuntasse il nipotino di Bob Beamon a saltare in lungo più di 13 metri polverizzando il primato di Powell.

Per capirci: è uno standard che è arrivato a valere 2.500 euro a testa all’anno per ciascuno degli abitanti nel nostro Paese, compresi i neonati e gli ultracentenari. Talmente tanto che ormai una parte di quel circo Barnum che è l’ “industria del calcio”, al più alto livello dei club internazionali, non lo paga certo la passione dei tifosi bensì i petro-dollari degli sceicchi e i quattrini delle grandi centrali di scommesse online che si “vestono” da informazione web e intanto incanalano gli utenti. A tutto questo si aggiunge il “sommerso”: tutt’altro che trascurabile se lo stimano in altri 25-30 miliardi.

Stiamo parlando dell’equivalente di 10-20 volte la tassa sui rifiuti e di non so quanti moltiplicatori degli aumenti di addizionale Irpef comunale o regionale di cui nei consigli comunali si discute (giustamente) per settimane. Ancor peggio di quel che accade per le tasse, il peso grava in modo sproporzionato su alcuni: l’Ipsad (che si occupa del monitoraggio sulle dipendenze) segnala nel report 2022 che il 73% degli uomini e il 61% delle donne ha giocato almeno una volta nella vita. Anche sporadicamente ma solo fino a un certo punto: se si restringe il campo agli ultimi dodici mesi la percentuale diminuisce ma neppure di tantissimo (52% gli uomini e 41% le donne). Fatto sta che quest’indagine indica che un maschio su 35 (2,8%) e una donna su 166 (0,6%) presenta un profilo di rischio moderato o severo. Poco? Nient’affatto: anche senza mettere nel conto tutti quelli che presentano un rischio più basso (un altro 5,5% sulla sponda maschile e un 2,2% in più su quella femminile), ci riferiamo a un esercito di quasi duemila persone nella sola nostra città, fra Shangai e Quercianella. Soprattutto maschi: oltre 1.550 i “lui” con rischio moderato/severo mentre fra le “lei” quella percentuale equivale a poco meno di 400 donne). E di riflesso minaccia di sconquassare i bilanci familiari (e le vite) di altrettante famiglie, fa saltare in aria i legami affettivi, fa crescere la vulnerabilità al rischio usura e al bisogno di procurarsi i soldi in qualunque modo, ovviamente illecito. Prima sgraffignando in casa o dilapidando il patrimonio accumulato con il risparmio di generazioni e generazioni; alla fine non resta che far tracimare all’esterno l’approvvigionamento di quattrini con un effetto moltiplicatore su furti, borseggi e scippi.

Ma in realtà il problema è che, quantomeno per la stragrande maggioranza di quanti poi svilupperanno la dipendenza da gioco, non c’è nessuna linea d’ombra da attraversare, nessuna soglia da varcare. Insomma, il Problema non è percepito come problema: che sarà mai comprare un “grattino” all’edicola una volta ogni sei mesi? Poi però, come per le slot, il “grattino” diventa una stampella importante della propria attività economica; poi però i mesi non sono più sei ma due, quindi ogni 20 giorni, magari ogni settimana e se vinci cinquanta euro li spendi subito in nuovi biglietti perché ti senti fortunato. Tutto sta lì, nella normalità che pian piano diviene meno normale e ruzzola nella patologia. Mica sei un drogato. Eppure. Come bere un bicchiere: non è nulla, ma quando i bicchieri sono poi cinque o magari dieci…

Non abbiamo una geografia del gioco quartiere per quartiere, e non conosco la distribuzione capillare delle macchinette mangiasoldi nei tanti bar di Livorno: però le sale gioco, cioè le strutture più rilevanti, le vedo tutte nelle metà nord della città, tutte al di sopra dell’asse Mameli-Montebello. Non solo: le più rilevanti stanno a ridosso dei quartieri popolari, come se ambissero a intercettare volumi di gioco di fasce a basso reddito o di operai più o meno precari in pausa pranzo. Qualcosa dl genere saltava fuori anche nelle analisi di Senza Soste, giornale della sinistra radicale: è un fenomeno sociale che emerge in modo più netto «dove è alta la percentuale di abbandono scolastico, scontata la prevalenza dei contratti a termine rispetto al lavoro fisso nelle nuove assunzioni, molto alta la percentuale di invecchiamento della popolazione, altissima l’incidenza della morosità incolpevole negli sfratti e simile a quello del sud il tasso di disoccupazione giovanile»: tutti fattori «collegati al gioco d’azzardo, a tutte le latitudini». Il giornale antagonista lo inscrive dentro «la trasformazione dell’economia di un territorio in “subprime city” ovvero in una città dove cominciano a prevalere debito diffuso, scarsa liquidità procapite, finanza ed economia di rischio. Tutti fenomeni dei quali il gioco d’azzardo è indice di assenza, o di declino, di benessere diffuso». Da leggere all’interno della «proletarizzazione della finanza di rischio»: perché «il declino dei salari, in altri paesi prima che da noi, si è incontrato con la necessità di prestiti, di attivazione della finanza di rischio “dal basso” di cui il gioco d’azzardo rappresenta un riflesso».

Guardando più vicino a noi, c’è da segnalare che, stando alla “fotografia” scattata dall’Agenzia Dogane Monopoli, stiamo parlando per la sola città di Livorno – cioè senza nemmeno Stagno. Guasticce o Castiglioncello – di una idrovora che inghiotte redditi e risparmi per oltre duecento milioni di euro: 222,5 milioni nel 2019, l’ultimo dato ufficiale che ho trovato messo nero su bianco in un tomo di 1.448 pagine. Una montagna di soldi che se ne va soprattutto nelle slot (77,2 milioni) e nelle videolottery (71,1 milioni). Poi: i “grattini”, il lotto (quasi 12 milioni) e il Bingo (la metà).

Basta vedere la geografia del gioco per intuire che all’azzardo viene affidata la soluzione di un problema: l’aumento della diseguaglianza (e della distanza fra le classi sociali), l’impossibilità di mettere nelle mani di una vertenza collettiva o delle capacità individuali del merito il proprio miglioramento sociale. Anzi, il gioco si trasforma nell’unica finestra di speranza per dare una svolta alla vita mentre nel concreto di ogni giorno il potere d’acquisto del tuo reddito si assottiglia e hai come la sensazione che la terra  frani sotto i piedi della tua famiglia.

Come detto, siamo ben oltre qualsiasi tassa tranne l’Irpef: 405 milioni di euro in tutta la provincia (222,5 milioni soltanto nel capoluogo). Cioè praticamente l’equivalente dell’imponibile Irpef complessivamente dichiarato al fisco nel 2021 nella nostra città alla voce “redditi da fabbricati” (77 milioni) ai quali sommare i “redditi da lavoro autonomo” (70,3 milioni) e “da partecipazione” (80,2 milioni).

Ok, questa è la raccolta, cioè quanto viene giocato. Ma una parte viene redistribuito ai giocatori come vincite: è vero ma al momento di giocare non c’è ovviamente nessuna garanzia di riscuotere qualcosa. E soprattutto: mentre in passato il banco basava l’attrattività del gioco nel fatto che la vincita fosse stratosferica, adesso la strategia è soprattutto la polverizzazione delle vincite così da renderle molto più frequenti e, qui c’è l’inghippo, ovviamente reinvestite immediatamente in nuovi “grattini” e nuove giocate. Dunque, gran parte di quel mare di soldi catalogato come vincite lo è solo in teoria: viene rimesso nelle mani del giocatore come potenzialità di gioco più che come moneta effettiva. E non lo fa un biscazziere malavitoso: lo fa lo Stato. Comunque sia, il banco-Stato vince sempre: anche ammettendo che le vincite tornino nel gruzzolo di famiglia (e non è così), resta una differenza ingente nelle mani di chi gestisce il gioco: per Livorno si tratta di 99 milioni di euro su scala provinciale e di 52 milioni a Livorno città.

Una sfilza di cifre ma forse vale la pena alzare su sguardo su chi gioca: perché l’ho visto spesso andando a comprare il giornale, a fare colazione al bar, acquistando qualcosa in tabaccheria. Chi vedo? Alle slot anche la fascia di persone che arriva tutt’al più a cinquant’anni, ma a comprare i “grattini” no: soprattutto anziani o comunque gente che mi sembra a occhio possa aver passato i 60.

Adesso in un incontro organizzato per il “Piano regionale di contrasto al gioco d’azzardo” – promosso dalla Regione Toscana e finanziato da Anci Federsanità – è stata richiamata l’attenzione sociale riguardo al rischio dell’azzardo negli over 65. Nel corso dell’iniziativa introdotta da Cinzia Patera, presidente dell’Associazione Ceis Livorno onlus, è stato presentato un progetto che il Ceis ha attivato sul nostro territorio attraverso una rete locale che vede l’impegno delle operatrici Damiana Bruno, Marta Zicanu e Eleonora Puccetti insieme alla coop sociale pistoiese Gruppo Incontro alla coop pratese Il Pane e le Rose e al Centro di Solidarietà Arezzo. All’incontro sono intervenuti anche l’assessore al sociale Andrea Raspanti, Lucia Mancino (SerD Asl), Monica Cavallini (Cgil), Giulia Lenzini (Misericordia Livorno) e Piero Biagi (Ancescao Livorno).

Per l’elaborazione dei dati ci si è affidati al Laboratorio di Psicometria del Dipartimento Neurofarba dell’Università di Firenze. Ecco la realtà che le percentuali disegnano. Hanno giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno il 33,7% delle persone fra 65 e 74 anni, e non si creda che spariscano se guardiamo alla fascia d’età più avanti negli anni: riguarda il 28,9% degli interpellati fra 75 e 84 anni. Tradotto: un over 65 su tre ha giocato d’azzardo almeno una volta negli ultimi dodici mesi.

Se la lente d’ingrandimento è posta più direttamente solo sulla Toscana, balza agli occhi che quasi due persone su tre (63,5%) si sono fatti tentare dal gioco d’azzardo almeno una volta nella vita. Fra questi, il 12% presenta un qualche rischio (minimo o moderato/severo) di sviluppare un “disturbo da gioco d’azzardo”. Del resto, l’équipe di ricerca ha riscontrato che «il 40% degli ultrasessantacinquenni pensa che ci si possa arricchire con il gioco d’azzardo».

La ricerca mette l’accento sulla «particolare vulnerabilità» degli over 65 a capitolare nell’azzardo patologico: 1) tempo libero in eccesso; 2) poche attività ricreative; 3) disponibilità finanziaria costante (la pensione comunque arriva, non c’è il rischio di perderla perché non si è precari o licenziabili come i lavoratori); 4) perdita di identità sociale fra solitudine e isolamento. Da aggiungere che, nel raffronto fra le differenze riscontrabili nei giocatori patologici adulti e in quelli con più di 65 anni, viene rilevato che la fascia più anziana rischia maggiori perdite e un «impatto smorzato» sulle relazioni familiari: con la conseguenza che si ritiene più difficile riuscire a intercettare le condotte patologiche di gioco nell’anziano. Dunque: il pericolo che la “polveriera” possa esplodere senza che arrivino segnali per consentire di disinnescarla in tempo.

C’è da dire che invece la società civile qualche segnale sembra mandarlo: a parte l’iniziativa di Villa Fabbricotti con il Ceis e la collaborazione del Comune di Livorno (oltre che di una galassia di soggetti), nel mese di marzo il movimento dei focolari in tandem con la Rete Slotmob Toscana Senza Azzardo mette in agenda tre appuntamenti in altrettanti venerdì (il 1°, il 15 e il 22) per far dialogare le esperienze in questo campo. Si è appena conclusa la mobilitazione “Slot out” che ha visto alleati i circoli Arci e quelli dell’Acli (questo ultimi sottolineano che ormai il 97% delle sedi sono “slot free”).

Alle spalle c’è a Livorno anche un’esperienza particolare: con la guida del maestro di scacchi Andrea Raiano si è  puntato sul progetto “Gioco scaccia gioco”, cioè dama e scacchi per “sfamare” la voglia di gioco in modo sano.

Dunque, si avverte la crescita della sensibilità relativamente a questo problema, al tempo stesso non si possono chiudere gli occhi sul fatto che in Toscana, come afferma la campagna “Slot out”, ora vengono inghiottiti dalle macchinette mangiasoldi e da tutto il resto di giochi e scommesse qualcosa come 7,4 miliardi di euro. Grossomodo quanto la spesa per tener in piedi gli ospedali e le strutture della sanità.

Nelle foto, dall’alto: una serie di immagini di slot machine più gratta e vinci, oltre a portafogli vuoti (le immagini sono state rintracciate in rete, in caso di problemi relativi ai diritti segnalatelo nei commenti e provvederemo a rimuoverle immediatamente)

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