Il (falso) teorema del barcone: solo un migrante su 4 arriva dall’Africa, sull’immigrazione il valzer della propaganda

Il “mercato della paura” prospera sull’ignoranza di quel che l’immigrazione è davvero, problemi inclusi. E allora bisogna aspettare che un rapper pop squarci il velo parlando a “Domenica In”. La strana storia dei passaporti che non sono tutti uguali

di Mauro Zucchelli

Confessiamolo, per noi i migranti sono quella roba lì: neri, africani, barconi. Se va “bene”, vittime: degli aguzzini del sistema di controlli statali libici, degli organizzatori della tratta di esseri umani (che stanno in panciolle a terra, mica crederete che facciano davvero i piloti dei barconi…). Altrimenti o complici o talmente sconsiderati (cit. ministro degli interni) da mandare i figli a crepare fra i flutti mentre potrebbero benissimo sbarcare il lunario nel Sud Sudan martoriato da una guerra civile infinita, nelle bidonville delle metropoli subsahariane, fra le macerie della guerra in Siria e ora magari a Gaza. L’identikit è quella magnifica foto scattata da Massimo Sestini (e premiata dal World Press Photo): una folla di migranti su un barcone in mezzo al mare, ripresi dall’alto, così tanti che l’imbarcazione li contiene a stento tutti mentre lo scafo solca il mare e le onde ai due lati della prua sembrano le pinne di uno strano “pesce”.

La foto è un capolavoro. Massimo ne ha fatto anche una campagna social per rintracciare quei volti e farli emergere nella loro individualità (“Where are you?”, in breve “Wru”). Ma non facciamoci trarre in inganno: quest’idea dei barconi ce la siamo piantata in testa – ce l’hanno piantata in testa – senza gran riscontro con la realtà. Anzi, al pari dello spread il numero degli sbarchi è diventato un termometro per misurare la nostra febbre: e così come guardiamo a vanvera lo spread (giù più per l’inaspettata fragilità tedesca più che per virtù italiana), figuriamoci una questione di propaganda continua come gli arrivi dall’altra sponda del Mediterraneo (mai così tanti come da quando guida il governo chi s’era avventurato in sparate balenghe come il blocco navale).

No, non è così. Basterebbe guardarsi intorno per capirlo: ricordarsi da dove provengono le famiglie dei ragazzi di origine straniera in classe di nostro figlio, da dove arriva la badante di nonna o la barista all’angolo, il giardiniere che pota la tua siepe o il tipo che ti porta quintali di acqua in bottiglia, l’operatore Oss che viene a fare le terapie domiciliari o il trequartista nella squadra del bimbo…

Le statistiche hanno la testa dura ma mai quanto i pregiudizi. Vediamole. Ad esempio, nel 2008 la fotografia delle presenza di migranti dicono che, guardando ai venti Paesi stranieri con il maggior numero di cittadini individuati sul suolo italiano solo quattro hanno a che fare con l’Africa, sia della sponda mediterranea che della fascia subsahariana. Cioè: su poco più di 2,7 milioni di migranti in Italia, in quel momento di oltre 15 anni fa si contavano 365mila persone di provenienza marocchina, 93mila tunisina, 69mila egiziana, 62mila senegalese e 40mila nigeriana. Totale 629mila. Il 23% di tutti i migranti presenti. Neanche uno su quattro. E gli altri? La maggior parte dall’ex Est Europa (1,46 milioni): soprattutto romeni (625mila), albanesi (401mila) e ucraini (132mila). Desta forse sorpresa l’alto numero di asiatici, più di mezzo milione: 156mila cinesi, 105mila filippini, 77mila indiani e via dicendo. Dall’altra sponda dell’Atlantico, ma lato latino-americano: 143mila persone, metà dal Perù e metà dall’Ecuador.

Nel 2021 l’identikit della presenza di cittadini di origine straniera non è cambiato granché: sempre in testa i romeni, poi gli albanesi, quindi nell’ordine i marocchini, i cinesi, gli ucraini. La differenza è semmai nell’ascesa degli asiatici: al sesto posto gli indiani, al settimo i filippini, all’ottavo i bengalesi. Nei flussi più recenti, insomma, se qualcosa è mutato lo è perché la quota degli africani è scesa al 18,2% (dal 23%) e quella degli asiatici è raddoppiata (dal 19,3% al 38%).

È sufficiente questo a capire che l’assalto dei barconi è una panzana gigante: sono decenni che con il barcone arriva una quota di migranti che non è marginale ma è largamente minoritaria rispetto ad altre modalità. Ovvio: con il barcone non arrivano qui i romeni e nemmeno gli albanesi (se non in anni lontani quando i flussi erano sulla Puglia), non arrivano qui via mare i filippini e gli indiani, neppure i sudamericani. Come mai tutta questa attenzione ai barconi? Dal punto di vista umanitario: perché comunque in dieci anni nel Mediterraneo sono morte 26mila persone, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (appartenente alla galassia dell’Onu) che tiene pietosamente almeno il conto dei morti in mare nella traversata con il “Missing migrant project” in funzione dal 2014. Dal punto di vista politico: il “mercato della paura” è diventato una impresa a investimento sicuro come le industrie belliche in questi tempi di guerra, il dividendo elettorale salta comunque fuori facilmente. Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, due cronisti doc di Repubblica (il secondo è morto nel 2011), hanno scritto in tandem quasi vent’anni fa un libro per Einaudi che ora meriterebbe un aggiornamento: in quel caso, l’ingranaggio della paura era il terrorismo islamico, qui invece siamo in una situazione di guerra “ufficiale” fra stati e il rifiuto degli immigrati non è più un problema dei leghisti italiani ma il cardine delle politiche securitarie delle destre in tutto il mondo occidentale, che quasi ovunque hanno ormai lasciato il vecchio conservatorismo tradizionalista per prendere la fisionomia populista.

A migliaia arrivano con i barconi, nessuno lo nega. Ma paradossalmente: 157mila nel 2023 con il governo Meloni della linea dura, il 49,9% in più rispetto al 2022 quando al Viminale c’era Lamorgese nel governo Draghi (e quasi il quintuplo dei 34mila giunti nel 2020 sotto il governo M5s-Pd di Conte). Ma fra il 75 e l’80% no, almeno riguardo al passato. Lo dicevano i dati d’archivio del ministero: in effetti, soprattutto in passato, il viaggio normale con biglietto normale era la via di accesso all’Occidente (e anche all’Italia) in tre casi su quattro. In teoria il tal dei tali avrebbe dovuto ritornare in patria dopo un tot di giorni: semplicemente spariva nel nulla. E a quel punto diventava “clandestino”: ma forse sarebbe meglio dire “irregolare”. Soprattutto per i cristiani: potrà mai essere “clandestino” al mondo chi, qualunque pelle abbia, è «crato a immagine e somiglianza di Dio»?

Perciò, i migranti che affogano nei barconi affondati sono di bischeri che si sono fatti gabbare e affrontano una via crucis pagando il viaggio nel Mediterraneo dieci volte quel che costerebbe un normale viaggio in aereo o in nave? È una polemica che agita chi spesso forma la propria opinione sui “pizzini dell’odio” con l’attendibilità dei terrapiattisti.

Le cose sono un po’ più complicate di così, e partono da un dogma: dopo i contraccolpi elettorali delle aperture della cancelliera Merkel sull’accoglienza dei profughi mediorientali, l’Europa alza sempre più il ponte levatoio e si trasforma in fortezza per chi vorrebbe arrivare (anche di fronte ai siriani bombardati da islamisti e dittatore). Lasciamo perdere che chi sta in una fortezza prima o poi si dispone a difenderla con i cannoni, il “dogma della fortezza” deve fare i conti con il fatto che il nostro è un Paese che vive anche di turismo e in un anno-tipo pre-Covid una buona fetta di viaggiatori, più di dieci milioni, proveniva da fuori Europa, metà dall’America del Nord, cioè da un’area che è Occidente. Per dirne una: grossomodo diecimila croceristi con passaporto cinese, sudamericano o comunque extraeuropeo non-Usa arrivavano ogni anno, nelle annate buone dell’era ante-coronavirus, nel porto di Livorno a bordo di navi da crociera.

Questo si vede nel ventaglio di Paesi che rientrano nell’esenzione di visto: una sorta di sospensione, sempre revocabile, di una facilitazione degli arrivi in un contesto in cui il governo (non solo Meloni) vuol scoraggiarli. Dove vale l’esenzione di visto? Vale per affari, invito, sport e studio e vale per tante provenienze: Da Singapore a una sfilza di stati caraibici, dalla Serbia alla Colombia, dall’Ucraina al Venezuela, dagli Usa a Timor Est, dall’Argentina a Singapore, dagli Emirati alla Polinesia, dal Brasile al Montenegro e potrei continuare per parecchie altre righe. Balza agli occhi quel che non c’è: l’Africa.

Tradotto: ci sono migranti che possono arrivare con un normale biglietto in economy, che sia un traghetto passeggeri o ro-pax oppure un volo di linea, altri invece non possono farlo. Il barcone vale per loro: loro, siccome hanno la pelle più nera, sono più “stranieri” degli altri. Più “neri” negli altri: anzi, forse senza virgolette.

Ha ragione la gang comica del Terzo Segreto di Satira quando sfotte la nostra dabbenaggine sull’immigrazione: un gozzo con ragazzoni neri come la pece inventa un “piano per fregare il ministro Piantedosi”. Come? Le (finte) guardie di frontiera proteggono fieramente i confini da quella strana barca, ma appena ne vedono i visi imbiancati e le parrucche bionde li scambiano per ucraini e fraternizzano con loro. Il video è qui: https://youtu.be/jxRt-6I_Gak?si=ifYHqdbIGmOlLrQm.

Quale che sia il rango sociale e i quattrini sul conto corrente, il fatto di esser nati nell’Occidente opulento ha regalato a ciascuno di noi un passaporto “forte”. I passaporti non sono tutti uguali: quello italiano, insieme ad altri europei, è in cima alla classifica 2024 dell’ “Henley Passport Index” che misura la possibilità di un passaporto di dare accesso al maggior numero di stati al mondo. Lo fa passando ai raggi x 199 differenti passaporti e 227 differenti destinazioni di viaggio. Quello italiano apre le porte di 194 Paesi, nessuno ha così tante possibilità. Possiamo andare dove vogliamo: basta avere i soldi per farlo, ok ma non c’è impedimento. In questa graduatoria internazionale, eccezion fatta per le isole Mauritius, bisogna scendere al 55° posto per incontrare uno stato africano (il Sudafrica). Ma la fascia del Nord Africa che s’affaccia sul Mediterraneo è ancor più giù: Marocco e Tunisia al 76° posto, al 91° l’Egitto, poco più giù l’Algeria e al 102° la Libia.

È questo il segno che un africano ha un passaporto che gli dà accesso agevole sostanzialmente solo a gran parte dell’Africa, un po’ di Asia e un po’ di America Latina. Per il resto non gli resta che affidarsi alla lotteria del visto. E in Italia si parte dalla presunzione che voglia fare il furbo e sparire: i funzionari gli chiederanno cosa vuol venire a fare in Italia ma non basta il matrimonio d’un figlio o la morte d’un marito, vorranno avere certezza d’un posto di lavoro e d’un reddito di partenza sicuro. Non basta nemmeno quello: la normativa prevede uno stock di arrivi perché comunque senza le braccia dei migranti vanno in tilt settori come l’agricoltura o l’assistenza agli anziani. L’abbiamo visto durante il Covid con le grida di dolore mica delle Ong bensì delle imprese: manca la manodopera. Ecco, per l’ingranaggio è tale che l’ossessione securitaria ha fatto in modo che restasse scoperto ugualmente quasi un posto di lavoro su dieci perché la procedura non si è completata secondo tutti i crismi.

A questo punto vale la pena di ricordare il curioso siparietto del rapper pop Dargen D’Amico in tv con Mara Venier. Non è né De André né Guccini eppure questo tipo apparentemente scanzonato – ma più acuto di tanti opinionisti dei talk show anche di sinistra – ha ricordato che i migranti portano più di quel che prendono («la bilancia economica dell’immigrazione è in positivo»). Forse ha semplificato un po’ troppo quando ha detto che i contributi Inps degli extracomunitari «ci pagano le nostre pensioni», ma non è poi nemmeno questa grande eresia.

Gli economisti di Lavoce.info, autorevole équipe di informazione economica online, hanno provato tempo fa a fare i conti in tasca a questo tabù e hanno messo in fila che, guardando all’annata 2019, i lavoratori non-comunitari hanno apportato allo Stato contributi previdenziali per 15,4 miliardi, 5 miliardi di Irpef e quasi altrettanti di Iva. Totale: dal mondo dei migranti lo Stato ha ricavato 29,25 miliardi e ne ha spesi poco più di 25 (soprattutto i 7,4 nella sanità e i 5,8 nell’istruzione). Risultato: i conti dello Stato hanno “guadagnato” quattro miliardi dagli extracomunitari. Il dettaglio del ragionamento lo trovate qui:  https://lavoce.info/archives/90553/il-contributo-degli-immigrati-al-bilancio-pubblico/

Ancor più articolata è l’argomentazione che, confermandole ma in parte, il team di Pagella Politica ha compiuto per sottoporre a fact checking le dichiarazioni di Dargen. La leggete qui: https://pagellapolitica.it/articoli/fact-checking-dargen-damico-migranti-economia.

Sui flussi migratori bisognerebbe ragionare a mente fredda, ma così non è. Sempre più spesso si sente segnalare che questa lunga fase di “inverno demografico” che ha svuotato le culle renderà insostenibile gli standard attuali di tutela della popolazione anziana. Il motivo, ancora una volta, sta nei numeri dalla testa dura: lo scenario mediano delle previsioni demografiche Istat da qui al 2040 – cioè un orizzonte futuribile bensì qualcosa che buona parte di noi vedranno – dicono che la città di Livorno perderà più di duemila bambini (gli under 14 passeranno dagli attuali 17mila a meno di 15mila), vedrà sparire oltre 8.600 persone in età lavorativa (da quasi 86.700 a poco più di 74mila, meno 14,6%) e si ritroverà con quasi 8mila over 65 in più. I quasi duemila ultraottantenni in più dovrebbero sorpassare il numero dei bambini dal nido fino alla scuola media.

Quanto potrà reggere quest’andazzo non si sa: oltretutto l’impoverimento dei salari e lo sbriciolamento dei posti di lavoro in lavoricchi sottopagati lascia immaginare che il gettito dei contributi previdenziali forse addirittura diminuirà invece che aumentare.

Il teatrino della politica ha già cominciato a impegnarsi in un magnifico polverone sull’esigenza di tornare a fare figli, salvo poi tagliare subito i posti in più negli asili nido che il piano Pnrr avrebbe dovuto garantire per agevolare la scelta delle giovani coppie. Ma i demografi l’hanno detto senza troppi giri di parole: se anche domattina ci si mettesse a stampare figli con la pressa idraulica, dal punto di vista economico inizialmente saranno soprattutto un costo. Come dire: prima che generino gettito previdenziale passeranno vent’anni buoni, e noi ne abbiamo bisogno adesso altrimenti presto la legge Fornero sarà vista come blanda e buonista, altro che quota 103 col tuffo carpiato o 104 con quadruplo axel. La risposta è una sola: aprire le porte ai migranti, e nemmeno perché lo vogliono loro ma perché non quadrano i conti nostri. Parola non d’uno sciroccato buonista d’una Ong o d’un prete filo-Bergoglio: l’hanno detto all’ultimo conclave di Cernobbio di The European House Ambrosetti fra le grisaglie di ultramanager, super-imprenditori e premi Nobel.

Ce ne accorgeremo solo fra un po’, magari un bel po’ perché ormai sarà diventato ineludibile: nel frattempo ci si illude di gestire la questione migranti con il protocollo per “delocalizzarli” in Albania: riguarda 36mila migranti e in caso di intoppo l’Italia non solo paga strutture, personale, bonus, eccetera ma ammette che si riprende i migranti. A cosa serve? A sventolarlo davanti agli elettori: dopo aver predicato un astruso blocco navale senza saper di cosa si parlava, ora il pragmatismo di governo costringe a inventarsi qualcosa da dare in pasto prima del voto europeo. Non basta: se ho capito bene il testo dell’accordo, l’Italia si è impegnata a riprendersi i migranti “albanizzati” se la procedura non si conclude entro i tempi previsti. In concreto, pagheremo (quante decine di milioni di euro?) questo temporaneo parcheggio all’estero di 36mila migranti giusto il tempo per dribblare l’eurovoto.

In effetti, mica che in passato la sinistra abbia fatto meglio: l’accordo con le autorità libiche, lager e malfattori compresi, ha talmente scandalizzato papa Francesco da aver disertato in modo clamoroso l’assise internazionale di Firenze pur di non incontrare l’esponente di centrosinistra che era stato protagonista di quella brillante pensata. Al confronto, il piano – anzi, il “pianino” – intitolato a “Mattei per l’Africa” è un fulgido esempio di lungimiranza. E se dev’essere Giorgia Meloni a insegnare al centro-sinistra a fare “qualcosa di (quasi) sinistra”, siamo messi bene…

Nelle foto: si tratta di una carrellata di immagini tratte dal film “Io, capitano” di Matteo Garrone, eccettuato lo scatto di Massimo Sestini con una barca di migranti ripresa dall’alto e premiata al World Press Photo

Una replica a “Il (falso) teorema del barcone: solo un migrante su 4 arriva dall’Africa, sull’immigrazione il valzer della propaganda”

  1. […] Il (falso) teorema del barcone: solo un migrante su 4 arriva dall’Africa, sull’immigrazione il v… Nelle foto, dall’alto: il gruppo scultoreo settecentesco all’interno della chiesa di San Ferdinando; foto di gruppo per la famiglia asiatica liberata dalla schiavitù grazie alla solidarietà dei livornesi; le infografiche di Ispi dedicate al nuovo schiavismo […]

    "Mi piace"

Lascia un commento