Il cugino del celebre scienziato viveva da anni nella campagna toscana. Poche ore prima della battaglia per liberare Firenze, la sua famiglia viene sterminata per dare una lezione a Albert Einstein: lui si suiciderà un anno dopo. Un eccidio quasi dimenticato
di Mauro Zucchelli
Di cognome faceva Einstein e già questo lo rendeva un bersaglio: anche se il suo nome era Robert e di mestiere era ingegnere (nella foto sotto il titolo è con la moglie). Aveva però una colpa grave, e l’aveva agli occhi direttamente di Adolf Hitler: era cugino di Albert Einstein, il genio che stava rivoluzionando la fisica. Non solo: aveva sputato in faccia alla gloria del Reich. Non solo bis: era diventato il riferimento internazionale delle forze che al nazismo intendevano ribellarsi. Ebreo, il peggiore degli ebrei: e con lui, di riflesso, il cugino Robert.
Perché raccontiamo la storia di Robert invece che di Albert? Il motivo c’è, è lo cerchiamo nel primo giovedì d’agosto ’44, quasi ottant’anni fa, proprio come oggi. Il luogo è nel cuore di Toscana, 35 minuti di auto a est dagli Uffizi e da piazza della Signoria. Esattamente dentro il regno che sarà di Renzi Matteo da Rignano sull’Arno.
Per non girarci intorno: Robert sarà una delle vittime della furia nazista ma, sembra incredibile, a guerra finita. Eppure è solo apparentemente impossibile: in realtà, è proprio un “assassinio a orologeria”. Ecco siamo proprio in queste ore di ottant’anni fa: sta per iniziare la “battaglia di Firenze”, in questa notte di inizio agosto i nazisti buttano giù i ponti per ritardare l’avanzata alleata (sanno che la Linea Gotica ha bisogno di un po’ di tempo per essere consolidata).
Detto per inciso, se volete tuffarvi nel clima di quei giorni e non avete voglia di metter testa su un bel libro storico, potreste portare sotto l’ombrellone un romanzo diciamo “giallo” di Leonardo Gori, “Il passaggio” (reperibile tramite libreria o anche in biblioteca, ad esempio a quella livornese dei Bottini dell’Olio). La storia che vado a raccontare invece la trovate con gli occhi di una testimone bambina nel bel libro scritto da Lorenza Mazzetti per Sellerio, “Il cielo cade”: talmente buono che gli valse il premio Viareggio nel ’61 (e non l’anno successivo come in alcune segnalazioni dice curiosamente, sbagliando, perfino l’editore).
Flashback all’oggi di ottant’anni fa, inizi dell’agosto ’44: i tedeschi gli sterminano la famiglia. Lui era nel bosco a pochi chilometri, si accorge dell”eccidio per via del rogo appiccato alla sua casa: tenta di ammazzarsi, gli va male; ci riuscirà quasi un anno più tardi, nell’anniversario di matrimonio, alla metà del luglio ’45, cioè quando da due mesi ormai Hitler è morto e la Germania nazista si è arresa. Di fatto, hanno ammazzato anche lui.
Dagli Stati Uniti Albert Einstein aveva mosso mari e monti per cercare di salvare quel cugino che sapeva in pericolo nella metà d’Italia controllata dai nazisti e dai loro lacchè repubblichini. Il comando alleato affiderà una missione speciale al maggiore della Quinta Armata Milton Wexler, fisico americano che di Albert Einstein è stato allievo: arriva a casa di Robert Einstein otto ore dopo la strage. Robert si è salvato perché ormai viveva da tempo in mezzo alla macchia, i suoi familiari no: vengono assassinate Cesarina Mazzetti (detta Nina), Luce e Annamaria Einstein, che di Einstein cugino erano moglie e figlie. Si salvano in qualche modo le due nipotine gemelle, in quanto figlie del fratello di Nina e dunque al di fuori del legame diretto con Robert così come vengono rilasciate le altre persone presenti in quel momento nella villa degli Einstein.
Le donne di casa Einstein si ritenevano in certo qual modo al sicuro: la moglie Nina era protestante, perciò a rigor di logica non erano appartenenti al ceppo ebraico le due figlie (la “trasmissione” dell’appartenenza avviene per linea materna). Non solo: già da tempo in quella residenza di campagna i nazisti si erano impossessati di alcune stanze per acquartierarsi, una convivenza non semplicissima ma andata avanti per mesi. Tutt’al più qualche interrogatorio, ma ce n’era abbastanza perché la famiglia pensasse che il prblema fosse solo il disagio di averli sempre fra i piedi.
Avevano sottovalutato l’odio che muoveva i nazisti: in questo caso avevano in programma una vendetta contro Albert Einstein prima ancora che il solito folle proposito di sterminare gli ebrei. «Abbiamo giustiziato i componenti della famiglia Einstein, rei di tradimento e giudei»: così sta scritto in una sorta di biglietto-rivendicazione che il raggruppamento tedesco lascia nel giardino della residenza.
L’avventura toscana di Robert era iniziata qualche anno prima: per paura e per amore. Il morso della paura l’aveva sentito quando il regime nazista aveva chiuso la sua impresa di famiglia che produceva apparecchi radiofonici. A portarlo in Italia erano state due cose: 1) la consuetudine di famiglia, visto che i suoi genitori si erano stabiliti per un periodo a Milano e poi a Pavia, mentre la sorella Maja aveva abitato nella zona di Firenze, dove si insedierà lui con la moglie 2) l’amore che nel frattempo era sbocciato con Nina.
«Ora so chi ha ucciso la famiglia Einstein, sono stata in Germania a metà giugno per denunciare alla polizia colui che ritengo essere il responsabile dell’eccidio di mia zia e delle mie cugine, Cicci e Luce» (e, di riflesso, anche dello zio Robert Einstein suicidatosi poco tempo tempo): Lorenza Mazzetti, di cui abbiamo parlato poco sopra, ricordando che questa vicenda la conosce bene, l’ha detto in una intervista al “Corriere”: lei pensa che siano state le Ss. Per lo storico Carlo Gentile invece la responsabilità ricade sul 104°. Reggimento Panzergrenadier
È strano che un nome così famoso in tutto il mondo come quello degli Einstein e una strage così assurda non abbiano praticamente lasciato traccia di sé per lunghissimi anni: anche adesso non sono in molti a conoscere questo episodio. Anzi, l’Atlante delle Stragi Nazifasciste (realizzato dall’Anpi e dall’Istituto Parri, reperibile online) ricorda con amarezza che questa perdita di memoria abbia fatto sì che soltanto nel ’79 si sia cominciato a ricordare questa strage.
Invece ce ne sarebbe da ricordare, soprattutto noi toscani. Il citato Atlante fotografa una per una le 827 stragi (con 4.477 morti) di cui si sono macchiati militari tedeschi: in 620 casi (con 3.350 vittime) sono avvenute in giugno, luglio e agosto ’44. Talmente tante che è difficile immaginarle semplicemente come scatti d’ira o raptus d’odio: erano terrorismo per potersi attestare sulla Linea Gotica. L’avanzata degli alleati non era una passeggiata: anche per gli scontri interni agli angloamericani sulla scelta strategica di quanto velocemente far correre la liberazione dell’Italia rispetto ad altri fronti di guerra. Se poi mettiamo nel conto la capacità militare tedesca, si capisce perché per conquistare la Toscana ci siano voluti due mesi e la Pianura padana il quadruplo.
Post scriptum: non stiamo parlando di ottant’anni fa, ma di una storia ben più recente. Nel 1980, in un altro inizio d’agosto, c’è la strage fascista della stazione di Bologna. Il presidente Sergio Mattarella l’ha detto chiaro e tondo. Testuale: «La matrice neofascista della strage è stata accertata nei processi e sono venute alla luce coperture e ignobili depistaggi, cui hanno partecipato associazioni segrete e agenti infedeli di apparati dello Stato». Non avevo dubbi fin dall’inizio: il 2 agosto ’34 Adolf Hitler inaugura la dittatura nazista.
grazie , fai bene a ricordare dove viviamo e la nostra storia
Grazie, Giovanni, e grazie a quanti hanno letto e commentato
Tragedia completamente ignorata da tutti, solo casualità o c’è Dell altro?