Todaro/1. Dal mio articolo sul “Tirreno” la “miccia” per il film di Favino sul “Comandante”

Così lo scrittore Sandro Veronesi e il regista Edoardo De Angelis mettono in moto l’idea della produzione di una pellicola sulla figura di un comandante che in guerra affondava le navi nemiche ma ne salvava gli equipaggi: una denuncia contro chi nel governo vuol boicottare i soccorsi ai migranti dei barconi a rischio affondamento

di Mauro Zucchelli

Capita che siano cento righe di giornale a smuovere una montagna, vabbè diciamo una collina: ma nella testa della gente è ormai grande più delle Ande l’idea disgraziata che i disperati a bordo dei barconi siano in crociera. Capita che sia una buona storia a infilarsi nelle pieghe dell’attualità più feroce e farsi più attuale dell’attualità nel raccontare quel che siamo (e quel che siamo diventati). Capita che dietro un film di gran nome ci sia un articolo: il mio. Su un giornale locale: il mio, “Il Tirreno” insomma. E che una certa vicenda dimenticata diventi il modo per pensare a noi stessi e a questi tempi feroci in cui un ex studente bighellone un po’ scarso dà voce alla “pancia” e eccotelo immaginare la “pacchia” di questi qui che tentano di venire in Europa giusto perché scansafatiche…   

Il film si intitola “Comandante” e lo vedrete probabilmente da martedì 31 ottobre girare nelle sale del Bel Paese: l’ha preceduto un libro, stesso titolo, che è uscito per Bompiani nel gennaio scorso. Destinati – tanto il libro che, soprattutto, il film – a esser visti da molti occhi: la pellicola ha dalla sua il fatto di esser stata presentata in anteprima alla mostra del cinema di Venezia, ha la regia di Edoardo De Angelis (curriculum multipremiato fra “David di Donatello” e “Nastri d’argento”) e la sceneggiatura in tandem con Sandro Veronesi (e qui ricordo un doppio “premio Strega” e un “Campiello”). Senza dimenticare che come garanzia di qualità c’è il protagonista: una star di casa nostra come Pierfrancesco Favino.

Dietro tutto questo c’è un mio articolo pubblicato sul “Tirreno” dell’agosto di cinque anni fa: non è una mia congettura sborona arrampicata su chissà quali strampalate coincidenze, l’ha messa nero su bianco Veronesi nell’introduzione che spiega com’è nato quel libro, dunque perché lui e De Angelis hanno deciso di puntare i riflettori su questa storia.

Ma la vanità personale è poca cosa di fronte alla figura del “comandante”: lontana da me nel tempo e forse anche nel modo di concepire la vita. Sto parlando di Salvatore Todaro, un eroe della seconda guerra mondiale morto al largo delle coste tunisine poco prima del Natale ’42, dunque quando stavamo ancora al fianco dei nazisti di Hitler. Lui era nella “X Mas” del principe Junio Valerio Borghese, mica nei boy scout: forse fascista o perfino fascistissimo, anche se la Marina militare durante il Ventennio è stata perlopiù fedele alla monarchia e monarchico potrebbe esser stato Todaro.

Quel fine luglio eravamo presi dal fatto che Ronaldo veniva a giocare nella Juve, che una folla di baby-atleti era “prigioniera” di una grotta thailandese, che gli Usa facevano gli occhi dolci alla Russia (con Trump): tutti i santi giorni c’era il governo che faceva la faccia feroce contro i migranti e anche la grande stampa, a partire dal “Corriere” (con Fiorenza Sarzanini) aveva segnalato l’insofferenza della Guardia Costiera di fronte al diktat politico di smetterla di soccorrere i barconi. Per quanto poi si ostinerà a voler consacrare al cuore immacolato di Maria il nostro Paese, al noto baciatore di crocifissi non dovevano pensare granché le migliaia di morti affogati: anzi, niente di meglio come deterrente, no?

Eppure mi pare di ricordare che soltanto “Avvenire” (copyright Nello Scavo, reporter minacciato dalle gang dei trafficanti) nota che, nel discorso per l’anniversario della fondazione del Corpo delle Capitanerie, il comandante generale ammiraglio ispettore Giovanni Pettorino aggiunge a braccio la rivendicazione di un esempio di cosa vogliono essere i marinai italiani: il capitano Todaro, appunto. Con la sottolineatura della “legge del mare”: chi in mare è in difficoltà va soccorso e messo in salvo, punto e stop. E lo dice il numero uno della Guardia Costiera, non un pericoloso estremista.

La storia ve la racconto per filo e per segno nel pezzo che ho pubblicato sul “Tirreno”: lo metto qui come link (https://ilmediterraneo.blog/2023/10/29/todaro-2-il-comandante-che-in-mare-salvava-tutti-anche-i-nemici-anche-in-guerra/) per chi volesse dare un’occhiata a una storia di guerra in questi tempi infami in cui c’è il codazzo di quelli che, al di qua e al di là dello schermo tv, in un talk show o sul divano davanti al tgQualcosa, non si vergognano a stilare la classifica degli orrori, se conti di più un bambino israeliano decapitato o una ragazzina palestinese centrata da un bombardamento. Per ora basti sapere che Todaro, siciliano di nascita e livornese di adozione, con suo sommergibile andava all’attacco delle navi nemiche ma le affondava cercando di salvare l’equipaggio. A questa storia di Pettorino e Todaro il giornale cattolico riserverà in quelle settimane grande attenzione, compreso un corsivo del direttore Marco Tarquinio: segno che l’impegno pacifista di papa Francesco qualche breccia l’aveva aperta.

Il pezzo di Scavo mi aveva fatto risuonare qualche campanellino in testa. Probabilmente il ricordo di uno di quei quadretti con le figure-simbolo della Marina militare che magari avevo visto in qualche corridoio dell’Accademia Navale. Oppure qualcosa preso di sguincio: alla fine l’avevo trovato nell’opera che Marc Sardelli, padre di quel geniaccio di Federico Maria e a sua volta ottimo pittore. Mai visti di persona, una sola telefonata molto cordiale, ma parte del mio paesaggio umano: dalle pareti di casa mia, lui non lo sa, i suoi disegni hanno vissuto con me e la mia famiglia. Dev’esser per questo che sono andato a ripescare in uno sgabuzzino degli amarcord la mostra in cui ai Granai di Villa Mimbelli aveva presentato proprio il suo “Comandante Salvatore Todaro”, olio su tela  80×100.

La cosa era uscita dal recinto delle curiosità, perlomeno per me allora cronista delle pagine livornesi del “Tirreno”, appena mi ero accorto che Todaro aveva fatto l’Accademia Navale (ma accade a tutti gli ufficiali di Marina). Caso vuole che incroci Salvatore Loiacono che so essere buon amico di Marc Sardelli: come mai aveva scelto Todaro per la nuova opera? Sì, lo so che Todaro è passato dal nostro lungomare come accademista: mi stai dicendo che qui ha preso moglie? che la figlia Graziella è livornese, anzi abita ancora a Livorno e che a Livorno vive anche la nipote Jasmin Bahrabadi. Ma sai come posso contattarle? E qui passiamo a un ping pong di WhatsApp prima con Salvatore e poi con la nipote di Todaro. Alla fine – è appena passato il ferragosto 2018 – la figlia e la nipote del comandante mi accolgono in casa loro a prendere un caffè. E a raccontarmi la storia del capitano. Scoprirò che a Livorno Todaro “vive” in certo qual modo ancora: è qui che è sepolto nel cimitero della Purificazione. Curiosamente, a poche decine di passi dalle tombe di Edda Mussolini, di suo suocero Costanzo Ciano e di suo marito Galeazzo: quest’ultimo, detto per inciso, secondo un racconto da verificare, risulta esser stato accompagnato alla sepoltura da don Roberto Angeli, prete ribelle e simbolo della Resistenza antifascista cattolica.

Ma fin qui siamo nel perimetro di come ho acceso il faro su questa storia. Nel frattempo c’era qualcun altro che in quella «terribile estate del 2018» si mangia il fegato perché non gli va giù che gli “ultimi degli ultimi”, i migranti affogati, venissero sbeffeggiati da chi, spesso in zona retrocessione nella classifica dell’esistenza, non se la prende con quanti hanno la gnagna da Champions ma con chi se la cava peggio di loro: le Ong sono i “taxi del mare”, il giro di vite del governo fa finire “la pacchia delle crociere” e via infamando. Lo scrive Sandro Veronesi fin dalle prime battute del libro che ho citato. Su Signal crea una chat dal titolo “Corpi”: sua moglie ha lavorato alla promozione di un film del regista Edoardo De Angelis, nella chat è finito anche lui. De Angelis ha l’abitudine di mandare di primissimo mattino un messaggio agli amici per invitarli a una riflessione, Veronesi si sente in consonanza con quel tipo che conosce di rinterzo. A maggior ragione nel giorno in cui Edoardo posta il link di un articolo di “Avvenire” in cui l’ammiraglio Pettorino rivendica alla sua Guardia Costiera l’inderogabile missione di soccorrere chi in mare è in pericolo e lo fa citando il capitano Todaro.

È proprio la figura di Todaro che strega De Angelis: “colpa” di quella straordinaria umanità perfino in un contesto di una guerra disumana. Gli salta in testa l’idea di farne un film e ne parla in privato a Veronesi. Ma ci sono troppi “ma”: non fai un film di guerra solo perché ti è venuto il ghiribizzo, c’è una infinità di problemi da superare per produrlo davvero. Benché si dichiari agnostico, Veronesi vede il “dito di Dio” nella miccia che si accende all’improvviso. Come? Nella chat c’è una amica livornese, Jasmin Bahrabadi, manager di gruppi musicali, credo anche dei “Virginiana Miller” di Simone Lenzi, ora assessore e romanziere, ieri frontman di una delle migliori band indie italiane (e, detto per inciso, pure lui nella chat).

Jasmin manda a Veronesi via mail la pagina del Tirreno che pubblica «un articolo su mio nonno». Lo dice a pagina 14 del libro. Perché ci interessa? Unendo i puntini trovereste che il “nonno” è il comandante Todaro, proprio lui. Appena Veronesi lo dice all’amico è come se gli avesse annunciato «l’apparizione della Madonna», parole di Veronesi. Parte la sceneggiatura del film in tandem con la scrittura del libro, il resto lo vedrete al cinema: le storie, soprattutto queste storie, appartengono a tutti, e se capita che raccontarle aiuti a restare umani, meglio ancora. Ciak, si gira: anzi, ora si guarda.

DALL’ ARCHIVIO: IL PEZZO DELL’ AGOSTO 2018 SUL “TIRRENO”

Nelle foto, dall’alto: oltre alle immagini di scena di Pierfrancesco Favino nei panni del comandante Todaro, c’è la prima pagina del Tirreno con il richiamo all’articolo su Todaro e, più in basso, la figlia e la nipote di Todaro

Una replica a “Todaro/1. Dal mio articolo sul “Tirreno” la “miccia” per il film di Favino sul “Comandante””

  1. Babbo che ha fatto la Seconda guerra mondiale nella Marina Militare e aveva all’epoca dei fatti l’età che dovrebbe essere, secondo noi, figli del consumismo, la più spensierata della vita, (dai 19 ai 24 a prendersi le mitragliate degli aerei prima di una parte e poi dall’altra, se non peggio) ci raccontava di questo Comandante e nella sua voce e nei suoi occhi c’era quel poco di orgoglio che rimaneva a chi ne aveva viste tante che preferiva non raccontare, nemmeno quando la notte gli incubi passati lo facevano gemere e la mattina ci diceva solo: “brutti ricordi” se gli chiedevano il motivo. Peccato non abbia potuto leggere il tuo articolo, ma certamente in Cielo avrà incontrato quel comandante.

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