Chiunque avrebbe fatto carte false per mettere le mani sul tesoro dei quadri di Modigliani, lui si è nascosto da tutto e da tutti: ecco chi è e come ha vissuto. La sorella Jeanne: lo zio Menè mi diceva sempre che avrebbe voluto portare a Livorno lui invece di me
di Mauro Zucchelli
C’è chi si arrampica a un cognome che non dovrebbe avere più, a una mezza parentela con uno zio d’America che neanche sapeva di avere, a un qualche antenato emigrato dall’altra parte del mondo, perfino semplicemente all’odore in dosi omeopatiche che deriva dall’appartenenza a un casato di nobili ascendenti: per rimediare uno strapuntino Vip dentro un governo o un consiglio d’amministrazione, per raccattare una fortuna inaspettata e dare una svolta a una vita bigia, per mettere la freccia e buttarsi contromano sulla corsi d’emergenza per sorpassare la qualunque, destino compreso. C’è chi lo fa, l’ha fatto e lo farà: senza pentimenti, anzi con quell’aria gaglioffa da arcitaliano campione iridato degli impuniti. E c’è chi no: oggi francamente mi interessano questi qui. Anzi, questo qui.
Niente tipizzazioni edificanti, sto parlando di un tale in carne e ossa: soprattutto ossa, visto che quest’anno, alla fine di ottobre, cadrà il ventesimo anniversario della sua scomparsa. In silenzio e un po’ di solitudine, lontanissimo dai riflettori che hanno rischiato di accendersi sulla sua esistenza.
All’anagrafe faceva Gerald, di cognome faceva Thiroux. Meglio: Thiroux Villette, così da rendere omaggio ai suoi genitori. Però, non per l’idea di accompagnare il cognome della mamma a quello del babbo. Qui i cognomi sono quelli di due mamme: il secondo casato (Villette) è quello della madre adottiva, il primo (Thiroux) è quello della mamma biologica. Già questo potrebbe dirci che non sarà una storia come tante, figuriamoci se davanti a tutto mettiamo il “don” che si riserva ai preti come titolo onorifico. Quel che non c’è è il cognome del padre: Amedeo Modigliani. Nessuna traccia delle sue radici: tagliate prima ancora che lui mandasse il primo vagito.
Padre Gerald non ci gira intorno: è da quando aveva 14 anni che sa chi è il suo padre biologico ma sa anche che non ha accettato quel bebè in arrivo e non gli ha trasmesso il proprio nome. C’è poco da dire: sui fogli del Comune il cognome “Modigliani” non c’è, eppure non esiste dubbio che questo sacerdote sia il figlio quasi segreto di Modì. Anche la madre l’ha conosciuta poco: Simone Thiroux è stata la “fiamma” di Modì per troppo breve tempo, prima di rimanerne forse contagiata dalla tubercolosi.
Chissà se Augias ha l’ossessione di Modigliani, Simone senz’altro sì. Lo scrittore, che dedica all’artista livornese almeno un paio di libri e infiniti rimandi o sottolineature, racconta Simone come originaria del Quebec (ma padre Gerald ha detto che è «una sciocchezza»), una persona «timida, amante della musica, discreta pianista lei stessa, piuttosto bella»). La consacrazione della love story che ha così tanto voluto – spiega Augias – avviene il giorno in cui Beatrice Hastings, una tipa che stava con Modì da un paio di anni e qualche dipinto. Beatrice si presenta nel locale con un tale: Modigliani ci mette meno di una Maserati a passare da zero a cento. Un attimo e finisce a bottigliate.
Nel resoconto ecco che Simone si becca una bella ferita al sopracciglio, perde sangue e Modì la cura. Lei si immagina di aver fatto bingo o forse siamo noi che le cuciamo addosso un fumettone di quart’ordine. Per quel che se ne sa, è convinta che forse un po’ come vittima e un po’ come crocerossina terrà in pugno il cuore di quel bel tenebroso che dipinge strane figure dal collo lungo.
Non l’azzecca proprio: secondo Augias lui ha bisogno di contrasti e contrapposizioni, una che gli si appiccica addosso e lo supplica adorante non la vuole fra i piedi. Lei gli scriverà: «Io vi ho tanto amato e soffro tanto da reclamare questa cosa come una supplica (…) Vorrei semplicemente per me un po’ meno odio da parte vostra. Abbiate per me, ve ne supplico, uno sguardo buono, consolatemi un poco, sono tanto sventurata e domando solo un po’ di affetto che mi farebbe tanto bene». Non poteva durare.
Il destino ha deciso di essere beffardo. Nasce Gerald nella clinica Tarnier di Montparnasse: non è un caso che sia lì, è la clinica in cui vengono alla luce tanti “figli dell’amore”. È la metà del settembre 1917, la Storia con la “s” maiuscola si occupa dei preparativi della rivoluzione bolscevica russa e della disfatta di Caporetto. Vi incuriosirà però sapere che nello stesso giorno viene al mondo Obdulio Varela, il campione uruguagio reso immortale dalla penna di Osvaldo Soriano. Simone tira la corda finché può: il battesimo slitta e poi slitta ancora, «magari all’ultimo Amedeo viene». No, non viene: lo battezzano che ha 14 mesi mentre Modì, in quelle stesse ore, è in un ospedale di Nizza perché la sua nuova compagna sta partorendo. Primi strilli di Jeanne, la figlia di Modì che tutti riterranno l’unica nei decenni a venire.
Morirà che lui è ancora un fagottino, Gerald lo prenderà con sé la famiglia Villette: e così si spiega l’altro cognome che per tutta la vita ha contrassegnato la carta d’identità del nostro “don”. Anche qui, ritorna l’elemento narrativo della ricchezza evaporata. Famiglia ex ricca, i Modigliani: ma gli affari del padre vanno a rotoli e Amedeo capisce subito quanto sia difficile sbarcare il lunario perché leggenda vuole che, siccome non si poteva pignorare quel che stava sul letto di una donna che aveva appena partorito, l’ufficiale giudiziario entrò in casa sua con il povero Modì-bebè allattato in mezzo a tutto quel che poteva stare sul letto.
Famiglia di larghi mezzi anche i Thiroux: Simone ha avuto un vescovo come padrino, il padre canadese le paga un lungo soggiorno parigino, forse anche perché francese è la mamma; si illudono che studi medicina, in realtà è persa dietro a Modigliani.
I quattrini li ha anche la famiglia adottiva: monsieur Carlinot ha fatto fortuna come amministratore coloniale in Indocina, ora si butta nel business dell’industria della carta. Quanto a senso degli affari, deve avercene meno del nonno del futuro don Gerald: la sua impresa risulta un disastro, ancor di più l’idea di liquidare tutto e fare la vita del nababbo. Ci vuol poco per vedere i genitori adottivi di Gerald di fronte al giudice per il divorzio: il piccolo viene affidato al padre, che a questo punto si lascia incantare dall’idea balenga di riprovarci ma in Algeria. Gerald pensa che proprio no: si butta sulla prima nave che possa riportarlo in Francia e arriva da mammà Villette.
La donna le apre le porte del cuore (e del passato). Eccoli di fronte a una foto: è Amedeo Modigliani. «Questo è il tuo vero padre», dice lei a lui. Lo conferma il sacerdote francese di fronte al taccuino di François Mattei, l’inviato di “Epoca” che lo scova nella Francia profonda all’inizio degli anni ’70. «So di esser il figlio di Amedeo Modigliani da quando avevo 14 anni», cioè dall’inizio degli anni ’30: in effetti, l’adozione ufficiale da parte della sola mamma Villette risale al 18 giugno ’31. Il “don” ha un chiodo fisso: farsi dimenticare.
Così a “Epoca”: «Non ho mai approfondito la storia della mia nascita: ma perché avrei dovuto farlo? Lei ha cercato in ogni modo di rintracciarmi ed è venuto da me: i parenti di Modigliani non l’hanno mai fatto. Diciamo la verità, cosa mi lega a mio padre? Niente di niente». Di più: per mettere qualche spanna in più fra sé e quel tipo che era suo padre, aggiunge che «non ho nessuna delle sue capacità artistiche, non disegno né dipingo». E se un’impronta l’ha lasciata è solo per creare impicci e guai: benché in seminario fosse «un ottimo allievo», ha potuto vestire la tonaca solo grazie a una dispensa speciale, obbligatoria per chi come lui è figlio illegittimo.
In realtà, a questo punto bisognerebbe girare la manopola del selettore e mettersi in modalità “giallo”. A don Gerald non interessa per niente il fatto di essere figlio di Modì, ma stiamo parlando dell’artista che vale quanto una multinazionale industriale o il Pil di un paesotto africano: in un altro post (il link è qui e in calce https://ilmediterraneo.blog/2023/12/29/burla-di-modigliani-la-falsa-testa-doveva-essere-un-enorme-pene-parola-di-uno-dei-protagonisti/) ho segnalato che «solo le opere aggiudicate nelle principali case d’asta negli ultimi 18 anni hanno un valore superiore ai 707 milioni di dollari, solo guardando al gruppo di quelli di maggior valore». Ma un libro-inchiesta di Dania Mondini e Claudio Loiodice, giornalista del Tg1 lei e criminologo lui, indica numeri ben più enormi («otto miliardi di dollari»).
Non interessa qui indurre in tentazione il prete (che non c’è più) ma, sulla base del lavoro di Mondini e Loiodice, segnalare che allora forse ci sarebbe da domandarsi se occorre riscrivere qualcosa nella successione gestita poi unicamente da Jeanne (che, detto di sfuggita, morirà in quel modo assurdo, giù a capofitto da una scala, il giorno prima di un appuntamento decisivo). Ma è una parentesi che chiudo immediatamente: a me interessa principalmente la figura di questo prete che «preferisce di no», come avrebbe detto lo scrivano Bartleby descritto da Herman Melville.
Non basta. In questo gioco del doppio fra i due figli di Modì, uno visibile e l’altro no, ho trovato una frase che sembra il condensato di un dolore lancinante. Le parole sono dell’altra figlia, quella Jeanne che si ritroverà appena nata ad aver perso il padre sì ma anche la madre suicida per il lutto: racconta dello zio Giuseppe Emanuele, uno dei leader del Partito socialista, che «in Italia portò solo me ma continuava a ripetermi: “Se avessi dovuto scegliere di testa ia avrei scelto lui, era molto più carino di te”». Salta fuori una domanda e la fa Sandro Barbagallo a conclusione di un lungo articolo sull’ “Osservatore romano”, il quotidiano della Sata Sede: «Chi o cosa aveva obbligato Menè Modigliani ad abbandonare al suo destino il piccolo Gerald?»
Non è nemmeno questa l’ultima incredibile capriola del destino. Lasciamo perdere che il giornale vaticano dice che padre Gerald ha passato tutto il proprio servizio di parroco a Milly la Foret mentre l’inviato di “Epoca” lo trova nel ’72 alla guida della parrocchia di «Boutigny sur Essonne» (refuso: Essogne). Mi interessa che in quest’angolo di Francia, ai margini della foresta di Fontainebleau, padre Gerald va dove lo porta il cuore: ci va “nascondendo” quelle origini che fanno impazzire il mondo ma non lui.
È vero che ho scovato una permanenza pure nella parrocchia di Septeuil, a ovest della capitale. Ma per quasi l’intera esistenza, fino alla morte a 87 anni, il figlio di Modì cercherà la sua dimensione dalle parti del piccolo cimitero di Milly la Foret, un’ora e qualcosa di macchina da Parigi, puntando da Montmartre dritto verso sud. Lì è sepolto lui, e credo anche Jean Cocteau, il geniale intellettuale (poeta, regista, romanziere, drammaturgo, sceneggiatore e non so cos’altro) che trova forse la pace del cuore in questo borgo di neanche 5mila anime.
Non so se i due si siano incrociati, so solo che Cocteau muore nel ’63: facciamo a capirsi, è l’equivalente di una sorta di “Pasolini di Francia” per la poliedricità delle sue capacità espressive ed è in quel momento probabilmente il numero uno della “intelligencija” transalpina. Fosse stato da quelle parti, impossibile che don Thiroux Villette potesse non averne sentito parlare. Solo che è curioso il corto circuito: babbo Modì ha firmato un bel ritratto del poeta-regista, si conoscevano bene e forse erano pure amici.
DALL’ARCHIVIO DEL BLOG: UN’ALTRA STORIA NEL NOME DI MODI’
Nelle foto, dall’alto: Amedeo Modigliani nel suo studio parigino; un dipinto di Modì dal titolo “Jeune femme à la guimpe blanche” che si ritiene raffiguri Simone Thiroux; una serie di tre immagini di padre Gerald Thiroux Villette tratte dal reportage di “Epoca” del ’72 scritto da François Mattei; Modigliani in una pausa del lavoro sulle tele (ove non specificato, si tratta di immagini reperite in rete e ritenute di libero uso in un blog senza fini commerciali, se sussistono problemi fatemelo sapere nei commenti e io provvederò immediatamente a rimuoverle)
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